Motore di ricerca

29 aprile 2006

Grandi potenze crescono


Nel giorno in cui l'Aiea ha presentato il suo rapporto all'Onu per denunciare la mancata sospensione delle attività nucleari dell'Iran, Mahmud Ahmadinejad non rinuncia alle sue posizioni, e sprezzante del pericolo, riconferma la volontà di non rinunciare al nucleare e denuncia Usa e Gran Bretagna, che continuano a nascondersi dietro il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Non si fa attendere la replica degli Stati Uniti, che nella persona del senatore dell’Arizona Mc.Cain, minaccia da Brussel gravi ritorsioni sull’Iran, rivolgendosi in particolare a Cina e Russia che, qualora dovessero ostacolare l’azione dell’Onu per il rispetto delle direttive, vedrebbero poi incrinare alcune aree della cooperazione con gli Usa. Sembra tuttavia assurdo che uno Stato quasi sull'orlo del fallimento, possa dare ordini a due superpotente ormai pronte a presiedere lo scenario geopolitica ed economico globale. Gli Stati Uniti, in virtù del fatto di essere una potenza militare indiscussa, credono, sbagliando, di esserlo anche dal punto di vista economico.
Il deficit commerciale con l’estero cresce rapidamente, con 805 miliardi di dollari circa il 7% del Pil, e va ulteriormente a ingrossare le riserve di liquidità in eccesso dei paesi esportatori, che ammontano a 2 000 miliardi di dollari, detenute per i tre quarti da Cina, Corea del Sud, Russia, India e Arabia Saudita.

È una situazione molto pericolosa, perché i rischi geopolitici di un brusco calo del dollaro sono molto elevati e sono stati messi in luce anche durante il vertice di Washington del FMI dello scorso sabato, che non ha in fatti escluso che una “caduta rovinosa” del dollaro creerebbe insostenibili rialzi dei tassi di interesse: la Banca Centrale della Svezia decide così di ridurre al 20% le riserve di dollari e aumentare al 37% le riserve in euro. Ormai è inevitabile che uno dei più gravi squilibri globali passi attraverso la svalutazione del dollaro, che andrà inoltre ad accentuare l’iperinflazione derivante dall’impennata di merci e petrolio.
I Grandi Sette raccomandano una correzione ordinata dei cambi che devono “riflettere i fondamentali economici”, rivolgendosi soprattutto alle monete asiatiche mantenute svalutate per sostenere le esportazioni. La People’s Bank of China, respingendo le insinuazioni del FMI, ha fato subito notare che se c’è una controparte che trucca il mercato quella è proprio l’America, perché infatti non è più possibile stimare la reale quotazione del dollaro dopo il pasticcio degli M3.
La Cina dunque fa la voce grossa anche con il FMI e certo non si impressionerà dinanzi alle dichiarazioni di Mc. Cain che tuona vendetta senza fare i conti di quanto è rimasto in Fort Nox, per pagare i bilioni di dollari di debito. Lascia di stucco i mercati l’ultima mossa della Banca Centrale Cinese che, dopo aver affermato la propria sovranità nel decidere sullo Yuan, alza i tassi di interesse proprio quando la FED preannuncia una probabile fine della stretta monetaria entro giugno, dando così il colpo di grazia al dollaro che viaggia sulla scia di un trend assolutamente negativo. Le borse asiatiche ormai crescono a dismisura attirando sempre più investimenti, sempre più liquidità, soprattutto dopo la deregolamentazione delle attività di brokeraggio in Cina per la comprevendita di titoli di Stato.
Quotazione $/€ dal 1 marzo al 28 Aprile

Quotazione $/¥ dal 1 marzo al 28 Aprile

Oltre a possedere riserve valutarie e Titoli del Tesoro USA, la Cina ha ormai superato il Pil di Eurolandia con 9.406 miliardi di dollari, e in meno di cinque anni raggiungerà gli Usa che dista 3 miliardi, grazie al continuo e inarrestabile cammino della bilancia commerciale. Ha inoltre posto in essere una strategia di approvvigionamento energetico spietato e machiavellico, sguinzagliando le Major petrolifere in Africa e Medio Oriente alla caccia dell’oro nero. Dispongono di molta liquidità che utilizzano per aggiudicarsi i blocchi petroliferi sovrapangandoli, offrono aiuti, infrastrutture e legami diplomatici alternativi ai Paesi occidentali, approfittando dell’isolamento internazionale a cui sono soggetti a causa di procedimenti pendenti per le crisi umanitarie. In Sudan, gli investimenti cinesi porteranno alla produzione di 650 mila barili al giorno; il Venezuela si è accordata per vendere circa 300 mila barili al giorno, consolidando un rapporto che ha un forte sapore di sodalizio politico che lascia dell’amaro in bocca all’America. Angola, Guinea, Congo, Nigeria sono il terreno ideale per la caccia, perché in questo caso non sono i soldi che fanno la differenza, ma gli armamenti, le centrali elettriche, le ferrovie e le merci.

La Russia si conferma partner cinese ormai indiscussa, soprattutto dopo le recenti dichiarazioni di Gazprom, che mediante il suo “portavoce”, il Presidente Putin, fa sapere che se i governi europei continueranno a ostacolare mire espansionistiche del monopolio russo, in futuro buona parte delle forniture ora dirette all’Europa potrebbero finire sui mercati asiatici, che crescono a ritmi straordinari e offrono una assoluta disponibilità. E se la Germania chiede con cortesia il rispetto degli obblighi di fornitura presi con Berlino, il governo britannico si mette da parte senza nulla eccepire sul tentativo di scalata della Gazprom su Centrica, primo distributore di gas in Inghilterra.
Intanto in Russia non si accontenta della propria produzione e cerca di mettere le mani sul gas della ExxonMobil, dopo aver raggiunto un intesa con l’Algeria per l’export di gas.

Grandi potenze crescono, e le sovrane di un tempo si avviano al crepuscolo.
Così deboli e dipendenti anche per il cibo che mangiano, vogliono muovere guerra all’Iran, trascurando completamente che alle prime crisi e blackout energetici il caos e le contestazioni civili renderanno governabile la situazione solo con “strategica repressione e internamento” delle masse.