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04 luglio 2006

Un Referendum per le Grandi Opere


È partito venerdì il tavolo politico a Palazzo Chigi sulla Tav, e dai primi lavori del Governo traspare la certezza inequivocabile che il tratto della Torino-Lione si farà senz'altro, tutto sta a stabilire il quadro di leggi e di decreti che demolirà ogni resistenza.
Si parla di dialogo e di incontro verso le esigenze delle comunità locali, nell'intenzione di spacciare questo atto di forza una decisione presa nell'interesse nazionale e della stessa economia della Val di Susa. La demagogia e le parole di "sinistra" che esprimevano solidarietà e comprensione per la popolazione della Val di Susa che resisteva sotto le bastonate della polizia del centro-destra, sono ormai scomparse per lasciare posto alla determinazione e inflessibilità. Questa della Tav sarà una grande opera, come dire, pioneristica, perché si vuole fissare un iter burocratico e una prassi amministrativa che verrà poi estesa a tutte le opere infrastrutturali che sono in programma di realizzazione.
Innanzitutto, se si vuole istaurare un dialogo, occorre fissare una road map, ossia una strategia e un percorso da rispettare nei tempi previsti, cosicchè alla fine di arriverà ad un punto convenuto dalle parti senza stravolgimenti o cambiamenti di idea. Secondo obiettivo è stralciare le opere, e prima fra tutte la Tav, dalla legge obiettivo regionale, che prevede che il progetto preliminare venga approvato dal Cipe (Comitato Interministeriale Programmazione Economica) , dopo che la Regione abbia raccolto i pareri degli enti locali. Questo sistema non piace perché comporta tempi troppo lunghi, con il pericolo poi di successive contestazioni da parte della polizia. Per tale motivo è stato deciso di passare all'approvazione entro 90 giorni del progetto definitivo presso la conferenza dei servizi ordinaria, durante la quale l'amministrazione che propone l'opera dovrà prendere la decisione, tenendo conto delle "opinioni prevalenti" tra quelle date dalle amministrazioni locali interessate. Non esisterà più diritto di veto, né la maggioranza dei voti formale, ma solo una maggioranza sostanziale.
Una volta deciso, il progetto passa e diventa esecutivo. Da quel momento cominceranno a correre i tempi tecnici e politici della valutazione di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente che porteranno a iniziare i lavori. Nel caso però i problemi dovessero continuare, ossia nella conferenza dei servizi non si riesce a compattare una maggioranza, accorrerebbe in aiuto della popolazione locale, il parere della popolazione nazionale ricorrendo al referendum. In questo modo non solo si abusa di questo strumento, ma si va anche a strumentalizzarlo, lo si ruba al popolo sovrano per utilizzarlo contro lui, perché ben si conoscono le sue potenzialità come arma, potendo la massa essere manipolata. Se fossero chiamate alla consultazione tutte le regioni interessate, e non solo Val di Susa, allora sarebbe una vittoria certa perché, si sa, la Val di Susa non accetterà mai.
Viene dunque legittimata democraticamente una decisione delle lobbies: non vedremo più episodi come quelli di Scanzano Ionico, né quelli della stessa Val di Susa. Un referendum accontenterà tutti, dal quale non potremo certo sfuggire.

Altro problema, certo non meno rilevante, è il rapporto con le istituzioni europee, e a tal proposito occorre innanzitutto mandare un segnale alla Commissione Europea sulle ottime e serie intenzioni dell'Italia di portare a termine un impegno che è stato già preso e dal quale non si sfugge. È stata innanzitutto censurata la regola di reciprocità nelle concessioni al trasporto, che dà un diritto solo agli operatori di Paesi esteri che aprano le loro reti alle imprese italiane. Occorre cancellare la reciprocità, perché ora esiste la regola della non discriminazione e della libertà i scambi.
Inoltre, secondo la Commissione Europea, siamo già in terribile ritardo nel recepire la "Seconda direttiva del pacchetto ferroviario" per deregolamentare il settore ferroviario o, come piace dirlo a loro, aprire alla concorrenza il traffico merci nazionale e internazionale.
L'intenzione di portare il libero mercato anche nelle ferrovie, non è stata molto pubblicizzata, tuttavia la si poteva scorgere già da tempo dalle grandi difficoltà di Trenitalia. Il mese scorso ha infatto annunciato gravi perdite, dovute tra l'altro al mancato trasferimento di fondi da parte del Tesoro. Come sta avvenendo per l'Autostrade e Anas, l'abbandono dello Stato e la svalutazione delle imprese con la cattiva pubblicità delle perdite e del dissesto finanziario preludono l'acquisizione da parte dei privati stranieri. E dopo si passerà ad Alitalia, che ora si ritrova a combattere anche per le concessioni delle linee aree, come accaduto in Sardegna a causa della controversia con Meridiana.
Ci stanno letteralmente mangiando, e un cancro dall'interno ci sta indebolendo. Questo male è la cancellazione delle norme che prima davano una disciplina al mercato in virtù del fatto che le leggi hanno una ragione sociale, oltre che economica. Questo male sono i nostri politici, come il Ministro Di Pietro, un simpatico giocattolo nelle mani del potere: lo fanno cantare a squarcia gola, gli hanno promesso una carica, e ora deve ripetere, come fa un pappagallo, quanto deciso da tempo. Il nostro cancro sono anche i media, che nascondono o omettono del tutto queste notizie, occorre cercarle bene tra le righe dei loro mille articoli uguali.