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28 febbraio 2007

Shanghai crolla ma la Cina resta in piedi. Sono l’Europa e gli Usa a dover tremare.


La Borsa di Shanghai crolla con una perdita sugli indici azionari di più del 10%, bruciando sul mercato cinese 107 miliardi di dollari, con una eco di 290 miliardi sulle borse europee e di 210 miliardi su quelle statunitensi. Si registra così il peggior crollo finanziario sulle borse asiatiche degli ultimi 10 anni, come chiaro sintomo dell'estrema volatilità dei mercati in questo frangente di grande tensione per la recessione economica che si prevede arrivi negli Stati Uniti entro la fine di questo 2007.

La debolezza del mercato finanziario cinese è strettamente legato alle turbolenze e alle incertezze di quello statunitense mediante un doppio filo di scambi commerciali e di debito: l'economia americana vive della produzione cinese e degli investimenti in titoli di debito pubblico, mentre l'economia cinese vive della credibilità e della solvenza del suo principale debitore di cui possiede 750 miliardi di debito pubblico. È anche ovvio che questa crisi non poteva che riverberarsi anche sulle borse occidentali, in quanto i capitali investiti in Cina fanno capo alle più grandi multinazionali europee e statunitensi. Il crollo della Borsa di Shanghai dovrebbe in ogni caso preoccupare l'Occidente, e l'America stessa, perché se è frutto di una manovra speculativa, potrebbero esserci in futuro seri rischi sulla stabilità dell'economia statunitense, se invece è una forma di boicotaggio per minare la stabilità finanziaria di un avversario politico, potrebbe rivelarsi una mossa molto rischiosa perché le sue conseguenze si riverberano in maniera negativa in tutto il mondo. In ogni caso chi ne esce più sconfitto dagli sbalzi delle borse asiatiche sono proprio gli investitori occidentali, che farebbero bene a spaventarsi perché l’ultimo crollo del mercato finanziario asiatico si è avuto prima che crollassero le Torri Gemelle.
In un clima così teso da tempo si aspettava il segnale che doveva preannunciare la guerra del cambiamento del sistema economico, per impedire il collasso del dollaro e dell’economia capitalistica occidentale.

Il crollo di Shanghai è stato attribuito da alcuni analisti ad una vera e propria ondata di vendite partita dai grandi investitori e dagli speculatori che hanno deciso di abbandonare il mercato in seguito alla dichiarazione di Alan Greespan che ha confermato il rischio di recessione in America, e dopo i nuovi provvedimenti delle autorità monetarie sul controllo delle condizioni di credito e delle operazioni speculative.
Le autorità cinesi hanno infatti annunciato che presto rafforzeranno i controlli sul mercato finanziario che è vertiginosamente in crescita ma spesso poco trasparente, foriero di manovre speculative illecite, di offerte iniziali di vendita (Ipo) illegali e di attività non sane, come il ricorso ai prestiti bancari per investire in borsa. Come se non bastasse, si attendono nuove strette monetarie, per ammortizzare un po' le ostilità nei confronti degli Stati Uniti che premono per una forte rivalutazione dello Yuan, che falsa i conti delle partite correnti tra i due paesi.

Anche se la Cina non possiede ancora un mercato dei capitali in relazione al suo potere economico, probabilmente la fiammata della borsa di Shanghai è stata in un certo senso provocata da una politica tesa ad attirare capitali dall'estero. C'è stata una selvaggia deregolamentazione che ha consentito ai grandi fondi di investimento di infiltrarsi e dare origine ad una bolla speculativa molto vicina al collasso.
È un paese in cui le liquidità abbondano, i fondi acquistano e rivendono delle azioni sopravvalutate, raggiungendo un volume di scambio di oltre 14 miliardi di dollari, vicino alle cifre di Tokyo. Tuttavia, il governo non sembra pronto a prendere delle misure drastiche, perché continua a dare mano libera ai fondi che acquistano in massa le azioni per poi rivenderle sempre in misura consistente, spostando dei veri
Shanghai dunque resta la patria delle sporche manovre speculative dei fondi, in particolare dei fondi pensione che si muovono come dèi su quei mercati così deregolamentati.
Sono da tempo infatti in corso delle indagine economiche e finanziarie volte a far luce su dei sospetti di corruzione e di cattiva gestione di questi fondi pensione, che avrebbero condotto una deviazione di fondi pubblici per un importo di 400 milioni di dollari.

Il mercato finanziario cinese persegue come obiettivo principale quello di espandersi e lo fa ricorrendo ad ogni strumento, ma forse proprio la sua smisurata espansione potrebbe preoccupare gli investitori occidentali, che vedono uno sbilanciamento dei poli che attirano capitali. L'economia cinese non è solo una sistema in via di sviluppo, ma è anche una realtà politica che sta diventando sempre più indipendente rispetto all'occidente perché sta cercando le proprie controparti nei paesi del Medioriente, nella Russia, nei Paesi africani e in Sudamerica. Allo stesso tempo si sta espandendo sul mercato finanziario perché oltre ad attirare capitali, grazie alla sua forte economia reale, comincia ad avere un surplus di capitali da investire all'estero per un totale di 954,5 miliardi di dollari . È stata così creata la China Financial Futures Exchange, la quarta borsa del paese per le operazioni a termine, posseduta dalle borse di Shanghaï e Shenzhen e altre tre borse esistenti per le operazioni a termine, a Shanghaï, Dalian e Zhengzhou.
Allo stesso tempo la China sta stringendo rapporti sempre più importanti con Euronext per permettere la quotazione sul mercato europeo delle società e delle piccole imprese cinesi.
La liberalizzazione del mercato ha consentito infatti l'investimento sui mercati borsistici stranieri, mediante delle società bancarie di intermediazione, entro ovviamente una determinate quota per evitare la fuga dei capitali, ma consentendo comunque di eliminare i rischi sul tasso di cambio e le pressioni al rialzo sullo yuan. Secondo gli analisti, la liberalizzazione e l'apertura del settore bancario dovrebbero generare una domanda molto forte per i servizi bancari e finanzieri, in particolare per i prestiti immobiliari ed al consumo, di un'entità tale da drogare la redditività delle banche cinesi. Si appresta così anche ad essere una capitale finanziaria che deve prepararsi anche ad aprire il suo mercato alla concorrenza internazionale, prevista per la fine dell'anno, secondo gli obblighi previsti dal WTO.

Crolla dunque la Borsa di Shanghai ma la Cina resta in piedi, perché a dover tremare è l’economia capitalistica occidentale, trascinata dalla recessione degli Stati Uniti.