Un miliardo di imposte locali in più e liberalizzazione dei servizi locali è il piano di riforma della autonomie locali di questo governo. Questa contraddizione nei termini è in realtà quello che la finanziaria e i decreti stanno attuando, facendo perdere ai cittadini il diritto di godere di servizi pubblici nonostante debbano versare allo Stato più di un terzo del reddito prodotto. Ancora una volta le liberalizzazioni vogliono ridurre i costi, rendere il mercato trasparente ed efficiente con politiche di selvaggio liberismo che porteranno a far aumentare le spese per i cittadini o utenti, proprio in virtù del fatto che aumentano gli Erari e le burocrazie da assecondare.
La finanziaria ha creato una profonda distorsione sul bilancio delle autonomie locali, perché ha fatto aumentare il gettito reale ma ha ridotto i trasferimenti, cosicchè le regioni e i comuni sono costretti ad aumentare le aliquote delle addizionali . Questo perché la riforma del federalismo fiscale è sempre l'ultima ad essere attuata: privano le autonomie locali di mezzi e non studiano una modalità di finanziamento che non porti a far aumentare le tasse o a mettere i servizi in mano ai privati.
Infatti, prima dellla riforma del sistema fiscale, subentra il decreto Bersani-Lanzillotta (legge delega n.772) che prevede che la gestione di gas, rifiuti, trasporti venga affidata solo attraverso gare. Rimane tuttavia la possibilità per i comuni di scegliere tra la gara per la concessione del servizio a una società privata e la gestione "in economia", ovvero la gestione dell'ente locale con proprio personale e propri mezzi. Questo è il volere dell'Europa che ha lanciato il monito eliminare urgentemente la concentrazione di fornitura, produzione e infrastrutture nelle mani degli stessi soggetti, in questo caso lo Stato. Per rendere esecutivo il suo dictat ha sanzionato l'Italia per avere erogato aiuti di Stato alle ex-municipalizzate attraverso sgravi fiscali, che dovranno adesso essere restituiti per quella somma che supera la soglia consentita ( cdd. aiuti de minimis ).
La privatizzazione della gestione degli acquedotti è stata al momento messa da parte, perché merita una discussione più approfondita, oppure perché non si è ancora trovato il classico compromesso con i piccoli partiti della maggioranza che fanno un po' di "spirito di contraddizione", per arrivare a quella decisione che mette tutti d'accordo.
L'acqua in realtà non dovrebbe mai essere messa in discussione in questi termini, perché non è un bene pubblico, ma un diritto inviolabile per i cittadini, è una risorsa vitale per l'economia e lo Stato è obbligato a garantire una gestione efficiente e la distribuzione capillare al territorio. Il servizio degli acquedotti deve essere pubblico e occorre veramente correggere l'errore commesso nel passato con la legge Galli del 1994 di consentire che gli acquedotti diventino delle società per azioni, come è stato per le altre municipalizzate.
Ciò che è accaduto all'Acquedotto pugliese, oggi Aqp S.p.a., sia d'esempio per il futuro. La società ha infatti registrato una perdita di circa 20 milioni di euro, a causa degli oneri della gestione di un prestito obbligazionario di 250 milioni di euro, emesso nel 2004 per il finanziamento dei lavori infrastrutturali. Tale prestito, prevedeva un piano di restituzione in 14 anni, mediante la creazione di un fondo di accumulazione, da crearsi accantonando almeno 5 milioni di euro ogni anno. L'andamento negativo della borsa azionaria ha tuttavia causato delle perdite in questo fondo di investimento, costituito per lo più di azioni. La rinegoziazione del debito ha creato comunque una situazione di dissesto che rischia di provocare non solo la privatizzazione totale, ma anche la svendita della società come "ennesimo carrozzone statale". Si tenga presente però che le società private maggiormente interessate al processo di privatizzazione delle acque sono le società dell'energia, proprio perché le fonti idriche sono i giacimenti petroliferi del domani: già oggi le secche del po' sono provocate dalla chiusura delle sorgenti da parte delle centrali idroelettriche o termoelettriche. L'Italia del Sud, la terra più ricca d'acqua soffre ancora per la siccità e le sue culture stanno morendo, e oggi noi ancora discutiamo di privatizzare gli acquedotti invece di controllare in maniera ferrea che questa non vada disperdendosi nella cattiva gestione e nelle tasche di società private.
Dunque, sebbene la liberalizzazione dei servizi pubblici hanno creato casi virtuosi, creando pochi di lavoro e maggiore efficienza con la nascita di tante piccole e medie imprese che sono riuscite a sostituirsi agli enti locali, ha dato vita a molteplici patologie. Le imprese sono diventate delle grandi società quotate in borsa, con una centralizzazione dei servizi troppo spinta che ha fatto perdere un po' il contatto con il territorio, la scopo sociale dell'impresa stessa. Dopo Hera, che ha dato vita alle aziende multiservizi, molte altre sono diventate delle holding, come accadrà presto per l’Aem di Milano e l’Asm di Brescia, spinta dal grande favore della Borsa e dalle direttive dell'Europa che propendono sempre più per una rete dell'energia nelle mani dei privati. Tale soluzione spesso non è quella ideale, ma è quella imposta dalle leggi che incidono solo sull'organizzazione societaria senza poi garantire sull'effetto di tale scelta. Oltre a pensare quale sia la forma societaria, privata, pubblica o mista, occorrerebbe analizzare ed elaborare anche le esigenze del cittadino e del territorio e permettere alle Autonomie locali di decidere la soluzione migliore e più vicina alla comunità. Attualmente non è più possibile scegliere, perché esistono direttive che danno come unico input la liberalizzazione, perché esistono leggi statali che riducono i trasferimenti decidono come metodi finanziamento per la privatizzazione e il project financing. Quest'ultimo è quello che piace di più alle Banche, e per tale motivo diventerà presto legge con la riforma della legge 488, che istituirà un Fondo rotativo per le imprese (Fri) gestito dalla Cassa depositi e prestiti che finanzierà le opere infrastrutturali con il project financing e fonderà perfettamente Banche, società private e Stato.
Così mentre le Banche finanzieranno i servizi pubblici le opere dello Stato, divenendo così i creditori-proprietari per eccellenza, i cittadini pagheranno tasse elevate ad un Erario, e tariffe - standardizzate dai nuovi monopoli che si verranno a creare - ad un altro Erario, quello dei Banchieri.
La finanziaria ha creato una profonda distorsione sul bilancio delle autonomie locali, perché ha fatto aumentare il gettito reale ma ha ridotto i trasferimenti, cosicchè le regioni e i comuni sono costretti ad aumentare le aliquote delle addizionali . Questo perché la riforma del federalismo fiscale è sempre l'ultima ad essere attuata: privano le autonomie locali di mezzi e non studiano una modalità di finanziamento che non porti a far aumentare le tasse o a mettere i servizi in mano ai privati.
Infatti, prima dellla riforma del sistema fiscale, subentra il decreto Bersani-Lanzillotta (legge delega n.772) che prevede che la gestione di gas, rifiuti, trasporti venga affidata solo attraverso gare. Rimane tuttavia la possibilità per i comuni di scegliere tra la gara per la concessione del servizio a una società privata e la gestione "in economia", ovvero la gestione dell'ente locale con proprio personale e propri mezzi. Questo è il volere dell'Europa che ha lanciato il monito eliminare urgentemente la concentrazione di fornitura, produzione e infrastrutture nelle mani degli stessi soggetti, in questo caso lo Stato. Per rendere esecutivo il suo dictat ha sanzionato l'Italia per avere erogato aiuti di Stato alle ex-municipalizzate attraverso sgravi fiscali, che dovranno adesso essere restituiti per quella somma che supera la soglia consentita ( cdd. aiuti de minimis ).
La privatizzazione della gestione degli acquedotti è stata al momento messa da parte, perché merita una discussione più approfondita, oppure perché non si è ancora trovato il classico compromesso con i piccoli partiti della maggioranza che fanno un po' di "spirito di contraddizione", per arrivare a quella decisione che mette tutti d'accordo.
L'acqua in realtà non dovrebbe mai essere messa in discussione in questi termini, perché non è un bene pubblico, ma un diritto inviolabile per i cittadini, è una risorsa vitale per l'economia e lo Stato è obbligato a garantire una gestione efficiente e la distribuzione capillare al territorio. Il servizio degli acquedotti deve essere pubblico e occorre veramente correggere l'errore commesso nel passato con la legge Galli del 1994 di consentire che gli acquedotti diventino delle società per azioni, come è stato per le altre municipalizzate.
Ciò che è accaduto all'Acquedotto pugliese, oggi Aqp S.p.a., sia d'esempio per il futuro. La società ha infatti registrato una perdita di circa 20 milioni di euro, a causa degli oneri della gestione di un prestito obbligazionario di 250 milioni di euro, emesso nel 2004 per il finanziamento dei lavori infrastrutturali. Tale prestito, prevedeva un piano di restituzione in 14 anni, mediante la creazione di un fondo di accumulazione, da crearsi accantonando almeno 5 milioni di euro ogni anno. L'andamento negativo della borsa azionaria ha tuttavia causato delle perdite in questo fondo di investimento, costituito per lo più di azioni. La rinegoziazione del debito ha creato comunque una situazione di dissesto che rischia di provocare non solo la privatizzazione totale, ma anche la svendita della società come "ennesimo carrozzone statale". Si tenga presente però che le società private maggiormente interessate al processo di privatizzazione delle acque sono le società dell'energia, proprio perché le fonti idriche sono i giacimenti petroliferi del domani: già oggi le secche del po' sono provocate dalla chiusura delle sorgenti da parte delle centrali idroelettriche o termoelettriche. L'Italia del Sud, la terra più ricca d'acqua soffre ancora per la siccità e le sue culture stanno morendo, e oggi noi ancora discutiamo di privatizzare gli acquedotti invece di controllare in maniera ferrea che questa non vada disperdendosi nella cattiva gestione e nelle tasche di società private.
Dunque, sebbene la liberalizzazione dei servizi pubblici hanno creato casi virtuosi, creando pochi di lavoro e maggiore efficienza con la nascita di tante piccole e medie imprese che sono riuscite a sostituirsi agli enti locali, ha dato vita a molteplici patologie. Le imprese sono diventate delle grandi società quotate in borsa, con una centralizzazione dei servizi troppo spinta che ha fatto perdere un po' il contatto con il territorio, la scopo sociale dell'impresa stessa. Dopo Hera, che ha dato vita alle aziende multiservizi, molte altre sono diventate delle holding, come accadrà presto per l’Aem di Milano e l’Asm di Brescia, spinta dal grande favore della Borsa e dalle direttive dell'Europa che propendono sempre più per una rete dell'energia nelle mani dei privati. Tale soluzione spesso non è quella ideale, ma è quella imposta dalle leggi che incidono solo sull'organizzazione societaria senza poi garantire sull'effetto di tale scelta. Oltre a pensare quale sia la forma societaria, privata, pubblica o mista, occorrerebbe analizzare ed elaborare anche le esigenze del cittadino e del territorio e permettere alle Autonomie locali di decidere la soluzione migliore e più vicina alla comunità. Attualmente non è più possibile scegliere, perché esistono direttive che danno come unico input la liberalizzazione, perché esistono leggi statali che riducono i trasferimenti decidono come metodi finanziamento per la privatizzazione e il project financing. Quest'ultimo è quello che piace di più alle Banche, e per tale motivo diventerà presto legge con la riforma della legge 488, che istituirà un Fondo rotativo per le imprese (Fri) gestito dalla Cassa depositi e prestiti che finanzierà le opere infrastrutturali con il project financing e fonderà perfettamente Banche, società private e Stato.
Così mentre le Banche finanzieranno i servizi pubblici le opere dello Stato, divenendo così i creditori-proprietari per eccellenza, i cittadini pagheranno tasse elevate ad un Erario, e tariffe - standardizzate dai nuovi monopoli che si verranno a creare - ad un altro Erario, quello dei Banchieri.