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22 febbraio 2007

La Cassa depositi e prestiti nelle mani del sistema bancario


Quello che poteva sembrava un grande empasse per la politica italiana dinanzi al dictat americano, ha fatto così scattare una trappola pronta per l'Italia da molto tempo. Questa battuta d'arresto non toglie tuttavia il fatto che lo spettacolo deve continuare, e le dimissioni di Prodi potrebbero solo portare ad un rinvio delle più importanti decisioni nell'economia italiana per essere poi prese da un governo tecnico. Il nodo principale da sciogliere è il futuro della struttura del Patrimonio dello Stato e dei meccanismi di finanziamento, e sono decisioni che non possono essere procrastinate a tempo indefinito perché esistono delle direttive, delle scadenze imposte dall'OCSE e dalla Commissione Europea. A queste decisioni è indissolubilmente legato il destino della Cassa depositi e prestiti, o meglio del sistema di finanziamento-investimento nelle infrastrutture pubbliche e dell'intero patrimonio statale, destinata a divenire molto probabilmente un'entità ibrida e un veicolo di investimento per le fondazioni bancarie.

La Cassa Depositi e Prestiti è divenuta con la finanziaria del 2004 una società per azioni, mediante l'ingresso nell'azionariato delle fondazioni di origine bancaria, che hanno acquistato il 30% delle azioni, privilegiate con diritto di voto che danno diritto ad un dividendo preferenziale - con priorità rispetto agli altri azionisti - pari al tasso di inflazione aggiunto del 3%. È da notare che se il dividendo spettante è inferiore a quello previsto, anche per un solo esercizio, le Fondazioni avranno il diritto di recedere dalla CDP Spa, fermo restando che entro il 2010 le azioni diventano ordinarie a tutti gli effetti.
Sino ad oggi la Cassa ha raccolto al suo interno i fondi postali per destinarli non solo agli enti locali, ma anche alle municipalizzate e ai gestori privati e statali dei servizi pubblici, per garantire lo sviluppo infrastrutturale, in cooperazione con Infrastrutture Spa per i finanziamenti privati nelle grandi opere.

Oggi si ridiscute il suo ruolo nell'intenzione di trasformarla in una nuova IRI, da affiancare al «F2i», il nuovo «fondo infrastrutture» al quale Cdp partecipa con 150 milioni di euro, creato insieme con le fondazioni e le grandi banche italiane e internazionali. La sua missione sarà quella di investire soprattutto nelle grandi reti europee, come ferrovie, autostrade o satelliti, ricorrendo a forme di contratti di project financing: in tal mondo tuttavia l'opera non sarà di totale proprietà dello Stato e avrà per i cittadini un costo per essere utilizzata.
Prima di decidere sulla struttura proprietaria della Cdp occorrerà definire una volta per tutte la proprietà di Snam Rete Gas, la quale in ogni caso non avrà molte interferenze con l' F2i che per statuto non potrà rilevare pacchetti detenuti dai soci, nè concentrare gli investimenti su un solo asset. Ricordiamo che la Cassa di depositi e risparmi gestisce miliardi di euro di risparmio postale e custodisce 14 miliardi di partecipazioni tra cui: il 35% delle Poste, il 10% dell’Eni, il 10,2% dell’Enel, il 10,1% di StMicroelectronics, il 30% di Terna e il 30% di Snam.
La Snam retegas deve essere ceduta da Eni perché altrimenti nasce questo conflitto di interessi all'interno della Cdp, vietato sia dall'UE che di conseguenza dall'Authority: su tale questione si sono alternate diverse versioni, come l'inutilità o l'impossibilità di separare la rete perché non esiste una produzione di gas vera e propria, quindi questa coincide con la distribuzione, oppure la necessità di separarla perché diventerebbe più efficiente. Spetta sempre al "governo" decidere, nonostante l'opinione contraria dello stesso Scaroni che teme un indebolimento di Eni dinanzi poi alle controparti estere che bramano la Snam.

Per quanto riguarda la Cdp, gli scenari che si presentano posso essere diversi ma non così imprevedibili, perché parte dell'accordo con le fondazioni bancarie è stato già chiuso. La Cdp potrebbe divenire una maxi-banca a completa partecipazione statale ( 80% allo Stato e 20% alle Regioni) che non eroga dividendi ed è totalmente dedicata alle infrastrutture, alle piccole e medie imprese, alle ristrutturazioni, agli enti locali, spaziando in ogni sorta di investimento pubblico: questo è il modello della Bankengruppe tedesco Kfw. In alternativa potrebbe divenire una banca che ha negli uffici postali i suoi centri di raccolta, per poi impiegarli negli enti locali (modello francese della Caisse des dépots) , oppure una holding di partecipazioni strumentali, cioè di società che gestiscono o che sono impiegate nei servizi pubblici, per mantenere le reti nelle mani dello Stato. Le fondazioni sono oggi disponibili ad anticipare la data di conversione delle azioni, e divenire parte della Cdp come normale azionista, ma solo se cambierà l'oggetto degli investimenti da intraprendere, perché sino ad ora sono stati ritenuti poco redditizi e troppo votati al finanziamento della politica sociale, nelle vesti di una vera banca etica, senza garanzie né verifiche del merito del credito dei progetti. Per tale motivo finanziamenti come l'edilizia scolastica, pubblica e sociale, le opere idriche o di energia alternativa, potrebbero essere ridotti perché poco remunerativi. Allo stesso tempo gli enti locali potrebbero essere finanziati totalmente dal sistema bancario che avrebbe in mano così le piccole e medie imprese, e le municipalizzate che forniscono i servizi pubblici.
Se questi sono i presupposti probabilmente non si sceglierà un modello tedesco della banca pubblica votata solo al finanziamento senza versare dividendi, perché questo significherebbe liquidare la partecipazione delle fondazioni, né si sceglierà il modello francese, perché accentra tutto nelle mani delle Poste. Le fondazioni e le Banche non cederanno tanto facilmente la partecipazione della Cdp perché è una fonte di reddito sicura e ben remunerata se entra nel giro delle grandi opere pubbliche europee, mentre metteranno da parte invece quei finanziamenti che costano troppo allo Stato e non danno reddito, proprio perché sono votati alla causa sociale.