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11 ottobre 2007

La balcanizzazione dell'Iraq


La Turchia risponde con toni duri e decisi dinanzi all'attacco del PKK , il Partito del Lavoratori Kurdi, e si dichiara pronto ad intervenire militarmente sui campi kurdi insediatisi all'interno dell'Iraq. La situazione sembra essere ormai paradossale, in quanto l'America prima fomenta conflitti, ingigantendo mediaticamente l'attacco, poi invita alla calma e alla diplomazia, come afferma lo stesso portavoce del Dipartimento di Stato Sean McCormack: "Se loro hanno un problema, devono risolverlo lavorando insieme, in quanto le incursioni unilaterali non sono una soluzione". Strano sentire queste parole provenire dagli Stati Uniti, che hanno risolto tutti i loro problemi proprio con le risoluzioni e gli interventi unilaterali.
Tale eventualità, in ogni caso, provocherebbe la totale destabilizzazione della regione settentrionale dell'Iraq, ma andrebbe ad attuare il piano di ripartizione dell'Iraq teorizzato dai demiurghi statunitensi, oltre a portare un conflitto molto vicino alla Siria e all'Iran . Le ripercussioni sull'intera regione sarebbero sicuramente distruttive, a meno che non si tratti di un intervento militare programmato al solo scopo di dare il via alla spartizione dei territori dell'Iraq.
Lo scenario che si prepara dinanzi a noi non sembra molto diverso da quello dei Balcani del 1991, quando il Congresso Americano promulgò l'emendamento che sanciva la caduta della Jugoslavia e la creazione di una moltitudine di Repubbliche indipendenti: il "divide et impera" che garantisce stabilità e controllo da parte delle lobbies. Oggi come allora, il Senato americano approva una risoluzione che prevede la divisione dell'Iraq in tre entità secondo le loro origini religiose ed etniche ( la Bosnia vi ricorda qualcosa? ), sciiti, sunniti e kurdi.
In particolare la risoluzione propone di creare tre enclavi in Iraq: una sciita nel Sud, una sunnita al centro e curdo nel Nord con la capitale Bagdad come centro federale. Bagdad si limiterà ad assicurare la sicurezza alle frontiere esterne della federazione irakena, a coordinare le competenze amministrative e statali delle entità federali, nonché a gestire i corridoi petroliferi. Tale risoluzione è stata già recepita dal progetto di nuova Costituzione dell'Iraq, presto a referendum il prossimo 15 ottobre, in quanto istituisce il principio della Federazione, mentre i media locali - magari già preparati alla propaganda politica - stanno già istruendo la popolazione locale ad accettare di buon grado il progetto del nuovo Iraq. Seppure sia stato nascosto ai media, molti sono già i contrasti interni sulle modalità di ripartizione delle terre, in quanto sembra che la parte più ricca di petrolio, quella settentrionale, andrà ai kurdi, mentre sono state sollevate forti proteste alla possibilità di separare il sud sciita dal centro sunnita : è assai difficile infatti che i sunniti, sino ad ieri al comando dell'intero Stato, restino in silenzio dinanzi alla perdita degli sbocchi marittimi del Sud e dei giacimenti del Nord. Il piano americano in realtà ha già provveduto a tale problema, prevedendo il versamento del 20% degli introiti che provengono dalle vendite di petrolio al bilancio federale dell'Iraq. Tuttavia, la zona che desta maggiori preoccupazioni è il Sud sciita, che rischia di trasformarsi in un protettorato iraniano, perché strategicamente fondamentale per le vie di sbocco del petrolio verso la Turchia e l'Europa. A ben guardare, l'Iran non ha un ruolo da antagonista, in quanto rappresenta una delle controparti maggiormente coinvolte sebbene il suo lavoro è molto silenzioso, nascosto dall'aspra propaganda dei media contro il regime dei Mullah. Forse non tutti sanno che Joe Biden, promotore del progetto di legge presentato al Senato Americano è noto come un alleato molto vicino al regime dei mullah, dai quali riceve persino dei fondi per le sue campagne elettorali, e si è schierato contro l'adozione di leggi che vietano investimenti in Iran da parte di società statunitensi. Secondo alcuni analisti, il regime dei Mullah al momento sta promuovendo un piano volto alla creazione di un'unione sciita, con un mercato comune e una serie di governi favorevoli che andrebbero così a proteggere gli interessi iraniani e farebbero dei territori circostanti delle piattaforme logistiche per difendere gli sbocchi delle risorse petrolifere verso il mercato occidentale. In tale ottica, il sostegno da parte dell'Iran della spartizione dell'Iraq potrebbe essere una moneta di scambio per giungere ad un ragionevole compromesso sulla risoluzione della questione nucleare, che non è mai giunta ad una fase cruciale tale da temere un intervento militare.
Potremmo, a ragion veduta, avere il sospetto che l'Iran, come la stessa Serbia, stia giocando in questo una partita con una duplice strategia che gli consentirebbe di ottenere una parte dell'Iraq al costo di fingere di cedere alle pressioni sul nucleare. L'importante, ai fini della disinformazione, è assecondare ciò che l'opinione si aspetta di vedere, ossia l'eterna lotta tra il bene il male, tra Oriente ed Occidente, anche se i nemici troveranno un accordo sedendo nei consigli di amministrazione delle grandi società. I Balcani, in tutto questo, insegnano molto, in quanto dopo essere stati colonizzati dalle lobbies occidentali e aver arricchito politici e giornalisti, sono divenuti dei doppiogiochisti, che assecondano il padrone che dà loro più cibo, mentre alimentano la propaganda sul grande conflitto Russia-America in terra balcanica.

In tutto questo si inserisce la Turchia, che ormai vive del protettorato degli Stati Uniti e dell'Unione Europea essendo divenuta il tassello indispensabile per la realizzazione di ben tre gasdotti, quali il Bakou-Tbilisi-Ceyhan , il Nabucco e l' EGL Trans Adriatic Pipeline, oltre ad essere uno sbocco per il gasdotto sottomarino russo Blue Stream. A fronte della servitù di passaggio dei corridoi per instradare il gas proveniente dal Medioeriente, dal Mar Caspio e dal Caucaso, la Turchia sta ottenendo un iter preferenziale per entrare in Europa, e , in un futuro non molto lontano, anche una parte dell'Iraq per ottenere giacimenti di petrolio con la scusa dello stato per i kurdi. Stranamente, ad aiutare la Turchia nello sbarco del lunario, arriva il movimento separatista kurdo, il PKK, che sembra fare delle apparizioni quasi magiche, se non provvidenziali. Infatti, l'intervento armato del PKK, sebbene sia costato la vita a 13 soldati turchi ha rigirato la situazione in maniera completamente favorevole alla Turchia. Non dimentichiamo infatti, quando solo pochi mesi fa il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) ha dato fuoco ad un gasdotto localizzato nell'est della Turchia, che collega i giacimenti del mare Caspio e dell'Iran ai centri di stoccaggio iraniani. Pochi mesi prima, era stato infatti concluso un importante accordo di intesa per esportare il gas iraniano verso l'Europa attraverso il territorio turco, tuttavia il sabotaggio ha consentito alla Turchia di guadagnare maggior tempo e migliori condizioni nei confronti dell'Iran.
E' ovvio dunque che le lobbies che tengono le fila degli eventi stanno ridisegnando la cartina del Medioriente, tale che presto vedremo spuntare come funghi tante piccole repubbliche con regimi costituzionali di stampo federale e sottoposti al rigido protettorato di ONU e UE. Il Libano verrà ripartito anch'esso in tre entità, probabilmente la Palestina verrà ulteriormente frazionata per dar vita allo Stato di Gaza, mentre la Siria dovrà cedere parte della sua sovranità per dare una terra alla minoranza sciita. Il criterio utilizzato è sempre quello dell'identità etnica o religiosa, per mascherare la ripartizione delle fonti energetiche, mentre l'arma è ancora una volta la disinformazione e il terrorismo di stampo nazionalista, per ottenere sempre il frazionamento di Stati controllati e colonizzati dalle lobbies occidentali.