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07 marzo 2008

I primi scontri di una Guerra Fredda soffocata


Lo spettro dello storico scontro tra Oriente ed Occidente si fa sempre più reale, soprattutto dinanzi al crollo del potere delle Nazioni Unite e la netta risalita del potere economico-energetico russo. I primi segnali di disaccordo stanno emergendo proprio all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che comincia ad indebolirsi sempre più, non potendo contare sull'unanimità dei membri permanenti.

Che gli equilibri internazionali stiano cambiando lo si legge chiaramente dalla crisi dell'ONU, che, se non supererà l'impasse del Kosovo sarà costrette a mettere in discussione proprio se stesso. Ma un primo cambiamento lo percepiamo anche nelle dinamiche economiche e politiche, che potrebbe andare a creare una Guerra Fredda tra il blocco occidentale Unione Europea e Stati Uniti, e il blocco orientale Russia e Cina. La divisione tra le due forze sta divenendo sempre più netta, in quanto l'Oriente cresce sempre di più e si pone in contrapposizione con le potenze del passato, che soffrono del caro petrolio e della crisi politica interna. Un contrasto che, tuttavia, potrebbe essere frutto proprio della maggiore occidentalizzazione delle potenze dell'Est, che hanno recuperato il proprio divario e ora si confrontano ad armi pari con un Occidente indebolito e diviso. La lotta tra Oriente e Occidente viene evidenziato sempre più dai media, che vedono nell'ascesa economica russa e nella militarizzazione della Cina una conferma dell'inizio di una Guerra Fredda, che riprende dopo gli anni di crisi e di ripresa della Russia. I primi segnali di disaccordo stanno emergendo proprio all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che comincia ad indebolirsi sempre più, non potendo contare sull'unanimità dei membri permanenti.

Basta considerare l'ultima risoluzione Onu che ha imposto all'Iran una miscellanea di intimidazioni e di promesse di dialogo che ha portato ad un testo che, sostanzialmente, non altera i rapporti economici con i partner orientali, come Cina e Russia, mentre conferma la "criminalizzazione" del nucleare iraniano, visto ancora come una minaccia nei confronti della supremazia nella Regione da parte di Israele e Turchia. Come hanno rilevato alcuni analisti, la risoluzione impone l'arresto di alcuni membri del regime qualora lascino il paese - anche se questi i soggetti individuati non escono mai dall'Iran - mentre nessuna altra istituzione legata al Pasdaran è stata condannata e la sola novità è la possibilità di perquisire navi o aerei per trovare i componenti delle "pericolose" attività nucleari. Perquisizioni che non daranno alcun esito, in quanto i programmi nucleari e balistici del regime iraniano sono principalmente fondati su propaganda e simulazione, oltre che bloccare determinati traffici di armi o droga che utilizzano l'Iran come porto franco. Le misure prese vengono così considerate come "inoffensive", anche perché gran parte di esse sono già in vigore e strumentali soprattutto agli interessi degli Stati Uniti che praticano da tempo un embargo bancario, nel tentativo di privare dell'Iran dei canali per i suoi approvvigionamenti esteri nonché per gli investimenti esteri. Tuttavia, affinchè Washington continui a portare avanti la sua politica economica, ha dovuto fare delle concessioni alla Cina, che ha ottenuto l'abbandono delle vere sanzioni economiche nonché la possibilità di stabilire una maggiore cooperazione tecnica con l'Iran, che potrebbe condurre ad un condono definitivo delle sanzioni. Teheran al contrario mira alla completa cancellazione delle misure facendo leva sul suo ruolo regionale, e al momento la situazione è in una situazione di impasse che rende anche la risoluzione priva di senso. In tal caso, la Russia ha giocato un ruolo neutrale, lasciando che fosse la Cina a schierarsi in maniera più decisiva.

Stesso scenario, ma con un ribaltamento dei ruoli si sta avendo con la questione del Kosovo, che vede la Russia in prima linea per la difesa dei diritti della Serbia, con una lotta su diversi fronti. L'arma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e solo una parte della strategia russa, che cerca di far leva sul settore energetico e su quello geo-politico, mettendo tuttavia da parte un possibile intervento, anche solo precauzionale, con le forza armate. Infatti il Cremlino sta girare a suo favore lo shock del Kosovo, sollevando il polverone dei conflitti "freddi" nell'area post-sovietica, ossia sulle prospettive secessioniste in Moldavia, in Georgia, con le questioni di Abkhazia e Ossezia del Sud, ed infine in Armenia e Azerbaijan, dove la questione del Karabakh rischia di compromettere l'equilibrio politico nel Caucaso. L'evoluzione di tali situazioni sarà uno dei primi elementi su cui riflettere per capire il vero impatto dal punto di vista internazionale del precedente del Kosovo, e proprio su questo farà leva il Cremlino. Non a caso giunge infatti l'eliminazione delle sanzioni inflitte all'Abkhazia nel 1996 dalla Russia, che riguardavano il settore economico, commerciale, finanziario e dei trasporti, invitando anche gli altri paesi membri della Comunità degli Stati indipendenti, CSI, a fare lo stesso. Questa risoluzione potrebbe così costituire un primo passo verso il riconoscimento di questa repubblica auto-proclamata, come ha dichiarato dallo stesso Vice-Presidente della Duma Vladimir Jirinovski. Ricordando che oggi circa l'80% degli abitanti dell'Abkhazia sono cittadini della Federazione della Russia, definisce "assurdo che un paese infligga delle sanzioni ai propri cittadini", ha fatto notare il vicepresidente della Camera bassa del parlamento russo. Tale decisione è stata vista dal Presidente del Comitato per i Rapporti esterni presso il Parlamento georgiano Konstantin Gabachvili come un "primo passo verso l'annessione dissimulata", della repubblica auto-proclamata sul territorio della Georgia. La risposta dell'Abkhazia non ha tardato ad arrivare, e l'assemblea popolare ha approvato due richieste del riconoscimento dell'indipendenza, che verranno inviate all'ONU, e alla Russia. La repubblica auto-proclamata abkhaza segue così l'esempio dell'Ossezia del Sud che in settimana ha inoltrato al segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon, al Presidente russo Vladimir Putin, alla Duma, ai parlamenti dei Paesi della Comunità degli Stati indipendenti (CSI), e così anche all'Unione Europea la richiesta della sua indipendenza. "La Repubblica dell'Ossezia del Sud, durante i suoi 17 anni di esistenza autonoma, ha provato la sua capacità e ha chiesto unicamente che la sua legittimità sia riconosciuta conformemente alla carta dell'ONU", cita il documento che cercherà in ogni modo di godere dell'onda d'urto della proclamazione dell'indipendenza del Kosovo. A questo crediamo che sia abbastanza vano il tentativo degli Stati Uniti e degli stessi Paesi dell'Unione Europea di dimostrare che il Kosovo sia un caso unico, e non diventerà un precedente. "Il Kosovo non provocherà azioni simili nelle altre regioni che chiedono l'indipendenza", "la dichiarazione dell'indipendenza del Kosovo non creerà un precedente". Queste le parole di Richard Holbrooke, rappresentante degli Stati Uniti per i Balcani, il grande demiurgo dell'Accordo di Dayton del 1995. Nella sua dichiarazione leggiamo così un vero messaggio nei confronti della Russia, accennando - come raramente avviene - al possibile ritorno di una Guerra Fredda come un'ipotesi da escludere. Sebbene Holdbrooke ne parli in maniera negativa, lo spettro dello storico scontro tra Oriente ed Occidente si fa sempre più reale, soprattutto dinanzi al crollo del potere delle Nazioni Unite e la netta risalita del potere economico-energetico russo.