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20 febbraio 2009

Il nazionalismo europeo si risveglia

Il Giorno della Memoria è stato accompagnato da una campagna di informazione sul passato più lontano d’Europa, quasi a risvegliare un antico nazionalismo che sembrava perduto nelle pieghe del sogno europeo. È evidente che il nazionalismo sia ancora vivo nei Paesi europei, alimentato dai fantasmi del passato, cercando di nascondere in esso problemi ben più gravi che l’Unione Europea non vuole affrontare, con il rischio che tutto questo possa creare una possibile frantumazione molto simile alla Jugoslavia degli anni '90. ( Foto: Rocco Cerchiara e Andrea Cardia, Foibe, 2009 - tratto dalla mostra "Foibe, dalla Tragedia all'Esodo", al Complesso del Vittoriano a Roma fino al 22 febbraio )

Il Giorno della Memoria è stato accompagnato da una campagna di informazione sul passato più lontano d’Europa, quasi a risvegliare un antico nazionalismo che sembrava perduto nelle pieghe del sogno europeo. Nelle più grandi città italiane si potevano vedere grandi manifesti per ricordare all’Italia la strage della foibe, compiuta dai “sanguinari partigiani di Josip Broz che alla fine della Seconda Guerra mondiale hanno fatto della lotta anti-fascista una crociata di pulizia etnica. Lungo le strade e nei pressi dei monumenti vi erano grandi manifesti che raffiguravano una mano che puntava il dito verso i “vicini dell'Est”, accusando il regime di Tito per lo sterminio e la cacciata degli italiani in Croazia. Dopo la frantumazione della Jugoslavia del 1991, Slovenia e Croazia dovranno pagare il conto di tutto quello che è accaduto sul loro territorio durante il regime di Tito. Nelle strade di Trieste potevamo vedere i graffiti dei movimenti di estrema destra che inneggiavano contro Tito e gli Jugoslavi, e contro la minoranza slovena che “deve tornare nel proprio Paese”. “Gli slavi di Tito”, Zagabria e Lubiana, sono rimaste scioccate quando, nel 2005, l'Italia decide di stabilire “il giorno della memoria delle foibe”. In tale gesto, i vicini croati e sloveni, hanno visto solo il ritorno del “nazionalismo italiano” e la “riabilitazione dei crimini del fascismo compiuti in Italia”. Allora, sloveni e croati, hanno inviato una protesta formale nei confronti della RAI per aver trasmesso un documentario “Il cuore nel profondo”, del regista Alberto Negrin, segnando così la prima tappa per ottenere il riconoscimento di quella strage contro gli italiani. La Slovenia infatti affermò che durante il documentario venivano mostrati fatti non veri e manipolati, e che l'Italia "non aveva ancora abbandonato il suo fascismo". Lubiana ha inoltre insinuato che gli italiani, anche oggi, hanno censurato sulle reti RAI il documentario della BBC “Fascist Legacy” proprio perché esso parla dei crimini dei fascisti italiani in Jugoslavia, osservano i politici sloveni.

Gli scontri tra Roma-Zagabria-Lubiana cominciano di nuovo un anno fa, dinanzi alle parole del Presidente Giorgio Napolitano e delle sue dichiarazioni contro l' “espansionismo sloveno”, gli “atti barbarici” e la “pulizia etnica” dei comunisti di Tito. Dopo lo scambio di minacce ed intimidazioni tra i due Stati, cominciano le trattative di integrazione europea della Croazia, con la campagna di "riconcilizione” dei Presidenti croato e sloveno, Stipe Mesic e Danilo Turk . Il 10 febbraio diventa il giorno della memoria delle Foibe, quando prima era solo l'anniversario della sottoscrizione del Trattato di pace del 1947, con il quale l'Italia perde le isole croate e le città in Istria e Croazia. La città di Rodik, in Slovenia, ha ospitato decine di pullman provenienti dall’Italia, per ricordare l'anniversario della Foibe, e in quei giorni era anche possibile trovare dei souvenir con la raffigurazione del "Duce" e lo slogan "La vera strage". I cittadini di Rodik erano pronti a fermare gli Italiani con un muro di corpi, considerando la loro visita come “la vendetta dei veterani dei fascisti”, come ha scritto un giornalista del quotidiano sloveno Delo. “Gli italiani, quando sono sinceri, dicono che vedono il confine a 15 chilometri da Lubiana - afferma un cittadino di Rodik, aggiungendo - gli Italiani credono che si possa cambiare qualcosa”, dichiarano con paura gli sloveni, facendo appello anche agli storici per difendere quanto sancito dal Trattato di pace del 1947.

"La storia è stata scritta dai vincitori", si dice spesso, ma durante il regime di Tito dalla ex Jugoslavia sono stati cacciati 350.000 italiani, mentre tutte le loro terre furono sequestrate come indennizzi di guerra. Sia Lubiana che Zagabria, negano una tale cifra affermando che gli italiani hanno scelto di “andare via da soli” per ragioni economiche, stimando così che le vittime delle foibe sono solo 1500 persone. Per Roma quella cifra è cinque volte di più, ma potrebbero aumentare ancora di più, per alimentare il nazionalismo tra gli Stati europei oppure tra quelli che vogliono essere i prossimi membri della Comunità Europea. Ci si chiede , come sarà possibile convivere in una realtà in cui i fantasmi del passato non stati ancora chiariti, e i processi non ancora visto un epilogo finale. Ci chiediamo ancora perché, dopo tanti anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e della sanguinaria guerra della ex Jugoslavia, a cui hanno partecipato sloveni e croati, si parla di nuovo di "fascismo italiano" per andare così a risvegliare i fantasmi del passato, ben sapendo che proprio il Nazionalismo ha provocato la frantumazione della Jugoslavia e poi la Guerra?

Dietro tale evento forse si nasconde anche il motivo per cui Croazia e Slovenia chiedono la “frantumazioni dei vecchi accordi tra i tre Stati” , dato che nessuno di loro è soddisfatto della divisione del territorio e della linea della frontiera disegnata dall’alleanza. E forse Slovenia e Croazia vogliono gettare ombra su qualcun altro per coprire il loro disaccordo sulla divisione del Golfo nel Mar Adriatico. La Slovenia è giunta al punto di proporre la raccolta delle firme per organizzare un referendum sulla possibilità o meno che la Croazia possa entrare nella NATO, Il Presidente Danilo Turk nega tutto, affermando che non si tratta di niente di serio, chiedendo scusa per il comportamento del Governo sloveno a causa della condotta dei “partiti nazionalisti” che hanno proposto una tale iniziativa. La Croazia si aspettava che entro il 2009 sarebbero state portate a termine le trattative per il suo ingresso in Europea, per poi festeggiare la nomina ufficiale nel 2011, ma la Slovenia esclude totalmente la firma dell’ASA prima della risoluzione della controversia territoriale. Non è bastata neanche l’opera di mediazione di Olli Rehn, consigliando alla Slovenia di mettere da parte le loro pretese nazionalistiche per risolvere così i loro problemi di frontiera. Lo stesso Premier, sin dall'inizio ha partecipato a questa “Guerra delle frontiere” tra Slovenia e Croazia per ridurre le tensioni createsi all’interno dell'opposizione per la raccolta delle firme sul referendum.

La Slovenia, come la stessa Croazia, hanno però dimostrato da tempo di non essere degni membri dell’Unione Europea, a causa del loro comportamento nei confronti degli stessi serbi. È evidente che il nazionalismo sia ancora vivo nei Paesi europei, alimentato dai fantasmi del passato, cercando di nascondere in esso problemi ben più gravi che l’Unione Europea non vuole affrontare, con il rischio che tutto questo possa creare una possibile frantumazione molto simile alla Jugoslavia degli anni '90.
Ma la storia del nazionalismo risvegliato europeo non finisce qui. Come Slovenia, Croazia e Italia, anche Germania e Polonia si stanno confrontando con le vecchie storie del passato. Il loro disaccordo è nato con la fondazione di un centro di raccolta della documentazione relativa ai tedeschi cacciati dopo la seconda Guerra mondiale. Varsavia chiede a Berlino che il dirigente del Centro non sia Erika Steinbach, che fa parte del partito democristiano. A prima vista sembra un problema di poca importanza, ma da questo episodio sono nati altri fantasmi della Seconda Guerra mondiale. Ricordiamo che dopo la Seconda Guerra Mondiale, si stima che 12-15 milioni di tedeschi sono stati perseguitati nell’Europa dell’Est e nella Germania Democratica. Anche loro oggi non accettano come è stata tracciata la frontiera sui fiumi Odra e Nisa e la stessa Erika Steinbach ha votato contro l’ingresso della Polonia e della Repubblica Ceca in Europa. “Il caso Steinbach”, come scrive Frankfurter Allgemeine Zeitung, "dimostra chiaramente come sia lunga la strada della riconciliazione".

Questo potrebbe aiutare a capire il motivo per cui la situazione politica della Bosnia resta irrisolta da anni, considerando che la Comunità Internazionale ha cercato di far vivere nello stesso Stato i “nemici sanguinari” appena terminata la guerra, unendo insieme diverse etnie, tre religioni diverse, che hanno combattuto tra di loro a causa delle differenze che li dividevano e della storia mai chiarita, dopo che la riconciliazione del Comunismo di Tito ha trasformato il passato in tabù. Lo stesso sta accadendo così per il Centro memoriale in Germania: rifugio, persecuzione e riconciliazione, dietro cui si nascondono forti emozioni, brutti ricordi, memoria, disaccordi e ricatti politici.
Solo adesso l'Europa può capire i problemi che gli jugoslavi hanno dovuto affrontare, proprio perchè la Jugoslavia 50 anni fa era davvero una piccola Unione Europea. I professori e i democratici europei giunti in queste terre come Alti Rappresentanti della Commissione Europea dicevano alle “tribù balcaniche” come devono vivere insieme, come fratelli e sorelle, felici e contenti con i loro traumi della Guerra. Di tutto questo sono rimasti i “ricatti”, come li definisce il Presidente Mesic, che vengono scambiati usando come arma l’ingresso nelle strutture euro-atlantiche. Questa è la vera immagine di una Europa già frantumata, che sta ripercorrendo le stesse tappe della frantumazione della Jugoslavia con la stessa ricetta “nazionalismo e memoria”, sapendo bene che ognuno porta dentro di sé e nelle generazioni a venire, in silenzio, il ricordo della tragedia . Gli stessi psicologi potranno confermare che conservando il trauma in silenzio senza dare la possibilità di discuterne, equivale ad avere dentro di sé una bomba che può esplodere in futuro. È solo questione di tempo. I Balcani hanno già avuto la propria lezione, ora tocca all’Europa.