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16 gennaio 2007

Verso la creazione di un'economia "panasiatica"


Uno storico accordo è stato ratificato ieri tra la Cina e l'Associazione delle Nazioni dell'Asia del Sud-est (ASEAN), concludendo un'altra importante fase per realizzare una delle più vaste zone di libero scambio al mondo. L'accordo entrerà in vigore questo anno ed aprirà al Sud-est asiatico le porte del mercato cinese nel settore bancario, turistico, immobiliare, tecnologico e dei trasporti.
Questo accordo giunge proprio in occasione dell'accelerazione che è stata data al progetto di creazione della Comunità dell'Asean mediante la conclusione di patto che trasformerà, entro il 2015, l'Asean in un'entità legale con leggi e regolamenti basata sulla cooperazione economica, politica interna ed estera, sociale e culturale nella regione, al fine di compensare i differenti livelli di sviluppo che esistono attualmente in seno all'Asean. Il primo passo fatto nei confronti della Cina, è stato seguito dal Giappone, Corea del sud, India, Australia e Nuova Zelanda, già partner dell'Asean, ma oggi riuniti da un accordo che avrà l'obiettivo di creare una vasta zona di libero scambio.L'ASEAN nasce come Convenzione contro il terrorismo e per la sicurezza della regione, per coordinare le attività finanziarie sospette ed estradare i rispettivi prigionieri, trattandosi di una regione politicamente molto instabile. La Francia è diventata l'undicesimo all'infuori dell'ASEAN ed il primo paese europeo ad avere firmato il Tac ( Trattato di Amicizia e cooperazione), insieme poi al Pakistan, la Nuova Guinea e la Russia, per promuovere la sicurezza energetica della regione. Tuttavia, il cambiamento del sistema economico asiatico, da regione in via di sviluppo, a fulcro della moderna industrializzazione, ha posto la necessità di riorganizzare gli Stati e di rivedere tutti gli accordi, per evitare che l'entità stessa scomparisse.
L'avvicinamento degli Stati asiatici, risponde senz'altro ad una realtà economica sempre più incontestabile - il commercio interregionale rappresenta oramai più della metà degli scambi dei paesi asiatici - ma si traduce anche in un accentramento delle forze politiche dell'intero continente nelle mani della Cina. Mentre la Cina attira più di 60 miliardi di dollari di investimenti diretti, l'Asean arriva a circa la metà, senza contare il grave deficit commerciale nei suoi confronti di 161 miliardi di dollari. L'accordo sui servizi aprirà loro l'accesso ai giganteschi mercati cinesi finanziari, tecnologici e industriali, per perdersi così in questa immensa area di scambio panasiatica.
La creazione di una zona di libero scambio, con l'abbattimento dei dazi doganali e delle differenze tra le economie, darà così la possibilità di creare una vera unione monetaria e finanziaria. Il progetto, sicuramente di stampo neo-liberista ispirato ai modelli dei burocrati del Fondo Monetario Internazionale, avrà senz'ombra di dubbio l'obiettivo di proteggere le economie asiatiche dagli attacchi speculativi dell'occidente, che riescono da soli a mettere in discussione la stabilità economica di uno Stato intero.
In questi ultimi anni il pericolo di crollo delle borse asiatiche è divenuto sempre più frequente e reale, in seguito anche alla svalutazione del dollaro e le tornate speculative dei fondi di investimento controllati da potenti fondazioni bancarie occidentali. Tuttavia, l'estinzione del debito di molti Stati nei confronti del FMI , e la crescita dell'economia, che ingrossa sempre più i conti delle bilance commerciali e così delle riserve valutarie estere, fa sorgere il crescente bisogno di una divisa monetaria forte e indipendente rispetto ad un sistema post-capitalistico.
La prospettiva della creazione di libero scambio potrebbe costituire per l'economia occidentale un pericolo, perché attualmente la forza contrattuale dei vecchi continenti sta nella molteplicità e nella divisione delle controparti con cui occorre trattare. Una volta che verranno dettati stardand commerciali, tariffe e dazi omogenei, nonché un'unica grande istituzione con cui confrontarsi molte cose potrebbero cambiare. Un'unica posizione all'interno del WTO o dell'ONU darebbe una voce molto più autorevole ai rispettivi Stati della regione asiatica, proprio in nome della loro forza ed indipendenza economica.
Allo stesso tempo, unire le voci di un coro così complesso e problematico potrebbe rivelarsi per le controparti occidentali un asso nella manica, in quanto i patti ratificati dall'Istituzione centrale si estenderebbero automaticamente a tutti gli Stati, proprio come avviene oggi all'interno dell'Unione Europea. La creazione di entità centralizzate ha sempre un rovescio della medaglia, perché rischia di annullare la biodiversità dell'economia, di appiattire i bisogni e le soluzioni ai problemi ad un'unica regola, che spesso non provoca vantaggi per tutti ma solo per pochi, perché sono politicamente più forti. La tendenza ad uno o all'altro degli scenari possibili dipenderà su quali basi si costruirà questa "economia panasiatica", se su basi democratiche o sul modello sovranazionale assolutistico del FMI.