La Commissione Europea è riuscita a varare una direttiva per l'illimitata brevettabilità del software, nonostante il voto contrario presentato dal Parlamento Europeo su impulso delle molteplici manifestazioni. Hanno infatti scelto un momento di "vuoto" parlamentare per assumere decisioni che si scontrano con la volontà dell’unica istituzione direttamente eletta, e sfruttando il favor della Presidenza Irlandese, forse direttamente sponsorizzata dalle maior del software. Le multinazionali extra-europee del software potranno così imporre il loro smisurato portafoglio di brevetti, ottenuti fuori dalla nostra giurisdizione, alla produzione domestica e libera di software, con grande gioia delle lobby degli avvocati che trarranno vantaggio dall'aumento della liti per far valere la titolarità dell'innovazione.
Basti pensare che si stima che IBM possieda più di 30.000 brevetti industriali validi, come Bell Labs Lucent Technology, che oggi sfornano almeno 3 brevetti industriali al giorno.
La lobby dei produttori di software hanno fatto delle forti pressioni sulla Commissione Europea per istaurare su un mercato ancora in crescita e quasi sconosciuto al sistema normativo, una propria legge, un proprio codice che accentra nelle loro mani i linguaggi dei software, con la scusa di proteggere gli investimenti e combattere la pirateria. È sufficiente adesso versare nelle casse dello Stato una piccola somma per mantenere attivo un brevetto per tutta la sua durata, 17 anni negli Stati Uniti e 20 nella maggior parte degli stati europei, con il risultato che molti consigliano il lancio delle innovazioni dei software dopo anni nell'attesa che scada il brevetto. Ovviamente raggiunto il monopolio nella programmazione, le grandi multinazionali stanno preparando il terreno per il mantenimento delle loro posizioni, tale che basterà investire maggiori fondi nel reparto legale per spiazzare i piccoli avversari ed evitare di cadere in qualche brevetto. Non sarà più una questione di ricerca & sviluppo, come sarebbe logico, ma un problema di più o meno cavilli legali. Tanto per dare l'idea della pericolosità del brevetto, occorre tenere presente che esso diventa come idea risolutiva di un certo problema, solo chi detiene il brevetto o la licenza d’uso può realizzare e distribuire la propria soluzione software: il brevetto tutelerebbe comunque l’idea originale e quindi il genere, così che molti altri verrebbero censurati per via di una somiglianza nell'idea.
Con questo voto il mercato del software europeo entra in una nuova fase, dove le imprese potranno brevettare programmi e parti di essi e dove gli sviluppatori indipendenti dovranno trovare nuovi modus operandi, aggirando quei brevetti laddove possibile o pagando le royalty a chi li avrà registrati. Ovviamente tutto questo ingabbia la piccola media impresa operante nel settore informatico, che non ha a disposizione né i mezzi di ricerca né quelli legali.
I brevetti di software sono pericolosi sia per la piccola che per la grande economia, perché il brevetto se da una parte sembra proteggere un inventore, dall'altro priva gli sviluppatori delle loro creazioni indipendenti. Il software privato stabilisce la legge del più forte, ed porta alla legalizzazione del furto delle innovazioni incluse nel software per via della concessione del diritto d'autore da parte dei piccoli programmatori: il sistema della Microsoft alla fine ha vinto su tutto e tutti.Quando il programmatore elabora dei miglioramenti, si trova a doversi scontrarsi con la proprietà del brevetto, e a soluzione di tale problema si è pensato allo sviluppo della GNU GPL, che permette di conservare la proprietà del miglioramento senza tuttavia perderne la paternità che non viene assorbita così dal brevetto privato. La concessione del diritto d'autore consente innanzitutto la "condivisione" dei software e delle informazioni, allo scopo di migliorare ancor di più il sistema di ricerca.
La decisione politica sulla brevettabilità del software dovrebbe tra l'altro essere basata su meriti, su logiche economiche e considerazioni etiche, mentre oggi viene stabilita sulle vecchie categorie logiche del diritto dei brevetti. Occorre che venga stabilita, prima di tutto, una istituzione di omologazione di eticità del software, dello Stato e delle Università in collaborazione con gli imprenditori che devono utilizzarlo. Combattere per il software libero o coperto da diritti d'autore non porta alla vera risoluzione del problema, perché se da una parte si potrebbe contrastare determinate pratiche di monopolizzazione delle multinazionali, dall'altra si viene comunque usurati dalle stesse grandi imprese. Il codice etico garantisce innanzitutto la creazione di software che rispettino la protezione dei dati del loro utilizzatore, che abbiano una programmazione trasparente, e che garantiscano il rispetto dei diritti dell'imprenditore e dell'individuo così come avviene nel settore civilistico.
Senza un codice etico e un certificato che accerti una "carta di identità" del software, rischiamo di creare con le nostre stesse mani l'usura del futuro, l'origine di ingiustizie e di ricatti che possono far fallire le imprese. Di fronte un grave e delicato problema quale quello del software, il mondo della ricerca scientifica risponde con movimenti del No che si contrappongono al quello del Si, che creano spesso confusione e sviano l'attenzione da quello che è il vero problema.
Come i Massoni hanno ben pensato di avere un codice che li indentificasse, ossia il Codice da Vinci, occorre che vi sia un codice dell'informatica. Il problema è che in un modo o nell'altro il codice se lo stiano creando da soli, come se stessero facendo un'autostrada decidendo le regole del traffico senza che le nostre auto siano in grado di entrarvi e di rispettarle. Il software di proprietà, come Windows, non permette ad esempio che determinate applicazioni escluse tra quelle incluse nel sistema, impediscono che altri software funzionino, né siamo autorizzati a modificare le caratteristiche di un programma non avendo il "codice della sorgente". Per cui si arriva al punto che non esiste nulla oltre l'alternativa che loro offrono, o accetti il sistema o non riuscirai mai ad emergere.
Basti pensare che si stima che IBM possieda più di 30.000 brevetti industriali validi, come Bell Labs Lucent Technology, che oggi sfornano almeno 3 brevetti industriali al giorno.
La lobby dei produttori di software hanno fatto delle forti pressioni sulla Commissione Europea per istaurare su un mercato ancora in crescita e quasi sconosciuto al sistema normativo, una propria legge, un proprio codice che accentra nelle loro mani i linguaggi dei software, con la scusa di proteggere gli investimenti e combattere la pirateria. È sufficiente adesso versare nelle casse dello Stato una piccola somma per mantenere attivo un brevetto per tutta la sua durata, 17 anni negli Stati Uniti e 20 nella maggior parte degli stati europei, con il risultato che molti consigliano il lancio delle innovazioni dei software dopo anni nell'attesa che scada il brevetto. Ovviamente raggiunto il monopolio nella programmazione, le grandi multinazionali stanno preparando il terreno per il mantenimento delle loro posizioni, tale che basterà investire maggiori fondi nel reparto legale per spiazzare i piccoli avversari ed evitare di cadere in qualche brevetto. Non sarà più una questione di ricerca & sviluppo, come sarebbe logico, ma un problema di più o meno cavilli legali. Tanto per dare l'idea della pericolosità del brevetto, occorre tenere presente che esso diventa come idea risolutiva di un certo problema, solo chi detiene il brevetto o la licenza d’uso può realizzare e distribuire la propria soluzione software: il brevetto tutelerebbe comunque l’idea originale e quindi il genere, così che molti altri verrebbero censurati per via di una somiglianza nell'idea.
Con questo voto il mercato del software europeo entra in una nuova fase, dove le imprese potranno brevettare programmi e parti di essi e dove gli sviluppatori indipendenti dovranno trovare nuovi modus operandi, aggirando quei brevetti laddove possibile o pagando le royalty a chi li avrà registrati. Ovviamente tutto questo ingabbia la piccola media impresa operante nel settore informatico, che non ha a disposizione né i mezzi di ricerca né quelli legali.
I brevetti di software sono pericolosi sia per la piccola che per la grande economia, perché il brevetto se da una parte sembra proteggere un inventore, dall'altro priva gli sviluppatori delle loro creazioni indipendenti. Il software privato stabilisce la legge del più forte, ed porta alla legalizzazione del furto delle innovazioni incluse nel software per via della concessione del diritto d'autore da parte dei piccoli programmatori: il sistema della Microsoft alla fine ha vinto su tutto e tutti.Quando il programmatore elabora dei miglioramenti, si trova a doversi scontrarsi con la proprietà del brevetto, e a soluzione di tale problema si è pensato allo sviluppo della GNU GPL, che permette di conservare la proprietà del miglioramento senza tuttavia perderne la paternità che non viene assorbita così dal brevetto privato. La concessione del diritto d'autore consente innanzitutto la "condivisione" dei software e delle informazioni, allo scopo di migliorare ancor di più il sistema di ricerca.
La decisione politica sulla brevettabilità del software dovrebbe tra l'altro essere basata su meriti, su logiche economiche e considerazioni etiche, mentre oggi viene stabilita sulle vecchie categorie logiche del diritto dei brevetti. Occorre che venga stabilita, prima di tutto, una istituzione di omologazione di eticità del software, dello Stato e delle Università in collaborazione con gli imprenditori che devono utilizzarlo. Combattere per il software libero o coperto da diritti d'autore non porta alla vera risoluzione del problema, perché se da una parte si potrebbe contrastare determinate pratiche di monopolizzazione delle multinazionali, dall'altra si viene comunque usurati dalle stesse grandi imprese. Il codice etico garantisce innanzitutto la creazione di software che rispettino la protezione dei dati del loro utilizzatore, che abbiano una programmazione trasparente, e che garantiscano il rispetto dei diritti dell'imprenditore e dell'individuo così come avviene nel settore civilistico.
Senza un codice etico e un certificato che accerti una "carta di identità" del software, rischiamo di creare con le nostre stesse mani l'usura del futuro, l'origine di ingiustizie e di ricatti che possono far fallire le imprese. Di fronte un grave e delicato problema quale quello del software, il mondo della ricerca scientifica risponde con movimenti del No che si contrappongono al quello del Si, che creano spesso confusione e sviano l'attenzione da quello che è il vero problema.
Come i Massoni hanno ben pensato di avere un codice che li indentificasse, ossia il Codice da Vinci, occorre che vi sia un codice dell'informatica. Il problema è che in un modo o nell'altro il codice se lo stiano creando da soli, come se stessero facendo un'autostrada decidendo le regole del traffico senza che le nostre auto siano in grado di entrarvi e di rispettarle. Il software di proprietà, come Windows, non permette ad esempio che determinate applicazioni escluse tra quelle incluse nel sistema, impediscono che altri software funzionino, né siamo autorizzati a modificare le caratteristiche di un programma non avendo il "codice della sorgente". Per cui si arriva al punto che non esiste nulla oltre l'alternativa che loro offrono, o accetti il sistema o non riuscirai mai ad emergere.