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03 ottobre 2008

Cosa inventano pur di non pagare...

In soli nove mesi, la capitalizzazione delle borse mondiali ha perso 13 mila miliardi di dollari e che tante banche prestigiose sono fallite. Ma è anche vero che nel panico del crollo del sistema, si è riusciti a realizzare molte operazioni strategiche, e anche "impopolari". Qual è dunque la verità?

Nel pieno panico della crisi finanziaria globale, anche la Banca Centrale Europea si unisce al coro delle voci sull’avvicinarsi della recessione. Il Governatore della Banca Centrale Jean-Claude Trichet parla addirittura di "una crisi finanziaria che non ha precedenti dai tempi della grande depressione del 1929", e di "rallentamento" della crescita europea, che non viene rigorosamente definito recessione economica perché a quanto pare l'area euro è meno esposta rispetto all'America. Anche il Fondo Monetario internazionale aveva detto che "economie come gli Stati Uniti, fortemente basate sul sistema finanziario, sembrano essere particolarmente vulnerabili alla brusca contrazione dell'attività provocata dalla crisi finanziaria", al contrario l’Europa presenta una posizione più robusta del bilancio patrimoniale delle famiglie europee con un livello di risparmio decisamente superiore a quello degli americani. Per cui gli Europei possono dormire sonni tranquilli, perché sono bravi cittadini che "pagano i loro mutui" - e dunque sostengono il sistema bancario con la sicurezza di entrate costanti a tassi variabili in aumento - e perché le Banche hanno un sistema finanziario più solido.

Ci troviamo dunque dinanzi ad un bivio che pone il dilemma se assecondare l’informazione ufficiale e istituzionale, e credere così che ci troviamo sul baratro del fallimento, o porre il lecito dubbio che vi sia qualcosa di "non detto" e toni eccessivamente "accentuati". Senza ombra di dubbio, una parte delle notizie e dei segnali che riceviamo dal mercato, è manipolata, il caos informativo è ad un livello tale che si riesce a far passare informazioni ben mirate a colpire determinati soggetti economici, come concorrenti, istituzioni ed opinione pubblica. Seppur è vero che, in soli nove mesi, la capitalizzazione delle borse mondiali ha perso 13 mila miliardi di dollari - paragonabile all’intero valore di tutta Wall Street - e che tante banche prestigiose sono fallite, ma è anche vero che nel panico del crollo del sistema, si è riusciti a realizzare molte operazioni strategiche, e anche "impopolari". Sono state portate a termine importanti ristrutturazioni degli apparati burocratici e amministrativi delle Banche, che hanno chiuso i loro sportelli e licenziato migliaia di impiegati senza nessuna movimentazione sindacale, adducendo come sola, inattaccabile, motivazione proprio il fallimento. Il crack finanziario ha reso possibile anche la totale riconfigurazione degli assetti di governance, con la stessa destabilizzazione delle strutture di potere.

Bank of America acquista per 4 miliardi di dollari la Coutrywide, principale erogatore di mutui immobiliari americano sull'orlo del fallimento, e dopo poco inghiottisce Merril Lynch che scompare dopo quasi un secolo e mezzo di storia. UBS Bank, DZ Bank e Deutsche bank, fanno le loro svalutazioni, e magari puliscono i loro bilanci in un clima di "tolleranza" e di condono da parte delle Istituzioni finanziarie, pena il riconoscimento della fallibilità della sicurezza del sistema. Jp Morgan scala Bear Stearn, grazie ai fondi garantiti della Federal Reserve, che interviene - in maniera del tutto straordinaria nella storia del colosso americano - per nazionalizzare Freddie Mac e Fannie Mae. Lehman Brothers viene lasciata fallire, lasciando così che Barclays e Nomura ne acquistassero le attività a prezzo stracciato. Le autorità americane chiudono Washington Mutual e JP Morgan acquista gran parte degli sportelli per 1,9 miliardi.
In Europa, allo stesso tempo, Bradford & Bingley viene nazionalizzata, dopo la Northern Rock, mentre il colosso delle Assicurazioni Llyod - nella furia del momento - tratta l'acquisizione del concorrente Hbos. Olanda, Belgio e Lussemburgo nazionalizzano il gruppo Fortis decidendo di investire 11,2 miliardi di euro al termine di una riunione a cui partecipa anche il Presidente della Bce, Jean-Clause Trichet. Ancora, Belgio, Francia e Lussemburgo devono intervenire accanto alla crisi di Dexia, mentre il governo tedesco organizza lo stesso giorno un prestito a favore della Hypo Real Estate che in una seduta crolla del 73% in borsa. Il governo islandese annuncia l'acquisto del 75% della Glitnir, il terzo istituto del Paese. Insomma, un vero e proprio bollettino di guerra, che - val bene la crisi subprimes - proclama vinti e vincitori, grazie ad un caso non del tutto fortuito.

Con una retata che è durata nove mesi, e miliardi di miliardi di soldi virtuali cancellati dai monitor, il settore bancario internazionale ha un volto completamente diverso, concentrato nelle mani di pochi, anzi pochissimi eletti. Vincono dunque i più potenti, i più abili manipolatori del denaro immateriale, mentre perdono - soprattutto tanti soldi, e per giunta reali - gli Stati che sono obbligati a cedere al ricatto della "corsa agli sportelli" delle banche in difficoltà. In effetti, lo Stato è costretto ad effettuare la nazionalizzazione di un istituto di credito che rischia il fallimento, in quanto - oltre all'esistenza di leggi a tal proposito - in caso contrario, si troverà a fronteggiare problemi di ordine pubblico, casse integrazioni, rivendicazioni sindacali, imprese fallite e pensioni cancellate: un costo eccessivo, inestimabile, a fronte del quale si preferisce pagare la banca. Un po’ come accadeva con la Fiat negli anni ’60, quando le guerriglie dei sindacati ingrossavano le casse della società automobilistica.

In un mondo immateriale come quello finanziario e borsistico, a farne le spese è quella piccola parte "materiale", che deve pagare i mutui, consumare, risparmiare e lavorare. Il pericolo più grande, dunque, non è la crisi subprimes o il fallimento delle Banche, ma il costo che la comunità dovrà pagare, e se tale decisione sia ineluttabile. Per questo siamo sconcertati e delusi nel leggere che, un gruppo di grandi professori europei, firmano una petizione rivolta ai Governi degli Stati, per chiedere la "ricapitalizzazione con fondi statali delle banche" ( magari della BEI) o "la conversione obbligatoria del debito in capitale azionario". Chi avanza simili proposte, definendo tali provvedimenti necessari per la stabilità del mercato finanziario, dovrebbe specificare anche tutte le conseguenze del caso: peso sul bilancio pubblico, aumento delle tasse, e ancora, sconvolgimento delle compagine azionaria. Andare in soccorso delle Banche fallite in maniera cieca ed incondizionata, significa essere "stupidi" e non imparare dagli errori del passato. Chi ha sbagliato deve essere punito e deve pagare, chi non ha controllato deve perfezionarsi e far rispettare la propria autorità. Non si può tollerare ad oltranza che banche e finanziarie agiscano ignorando le leggi sulla trasparenza, falso in bilancio, copertura dei rischi e speculazioni, per poi correre a battere cassa dagli Stati. I nostri stimati professori affermando che "non vi è volontà politica" di fermare la crisi, piuttosto non c’è "volontà politica nell’arrestare dirigenti e amministratori" e "nel far rispettare la legge". L’intervento dei Governi deve limitarsi ad attuare i dovuti controlli, ed eventualmente, porre i essere dei provvedimenti che agiscano sugli effetti della crisi, ma non certo pagare il costo delle turbolenze manovrate, e delle scalate bancarie.