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29 ottobre 2008

Disinformazione e insabbiamento sulla pulizia etnica del Kosovo


Il dossier del traffico di organi dei Serbi del Kosovo non si chiuderà molto facilmente. Tra disinformazione e confusione, Albania e Serbia si allontanano sempre dalla possibilità di creare un dialogo . Se da una parte Belgrado non può accettare che il caso cada nel silenzio, dall'altra, l’Albania non sembra essere disposta ad aprire un’indagine su uno dei retroscena più oscuri e macabri della pulizia etnica del Kosovo.

Che l’Albania e la Serbia abbiano posizioni diametralmente opposte sulle accuse del traffico d’organi dei serbi deportati dal Kosovo nel territorio albanese, è cosa nota e certa. Tuttavia, ciò che riesce difficile da capire è il motivo per cui la procura albanese e le istituzioni di Belgrado non riescano ad avere un dialogo e uno scambio di informazioni in maniera da accertare, una volta per tutte, il fondamento o la falsità del polverone mosso dall’ex procuratore Carla del Ponte. Se da una parte il procuratore serbo che seguirà la questione, Vladimir Vukcevic, è deciso ad andare avanti con le indagini, dall’altra la procura albanese ha dei forti dubbi sull’esistenza di prove reali su un traffico di organi che si sviluppava dal Kosovo. In un primo momento sembrava che le due parti sarebbero riuscite a tessere un dialogo di cooperazione e coordinamento delle indagini, come confermato dalle prime impressioni dell’incontro tra Vladimir Vukcevic e Ina Rama che si è svolto a Tirana. Il Ministro della Giustizia serbo Snezhana Malovic, a poche ore dalla fine dell’incontro, aveva dichiarato che era stato raggiunto un accordo in base al quale la procura serba avrebbe messo a disposizione degli inquirenti albanesi i fatti e le prove sinora raccolti, chiedendo che la Procura d’Albania facesse lo stesso. Lo stesso portavoce del Tribunale dei Crimini di guerra serbo, Bruno Vekaric, ha riferito che l'incontro di Tirana avrebbe dato ottimi risultati e un forte contributo alla risoluzione del caso. "Nonostante le posizioni diametralmente opposte sulla procedura e i fatti, la riunione è stata ottima e cordiale", dichiara Vekaric senza tuttavia rivelare i dettagli della riunione.

Passano poche ore, tuttavia, e la stampa albanese, riproponendo quanto riferito dall’Agenzia americana “Associated Press”, ha reso noto che l’incontro a Tirana tra i Procuratori Vukcevic e Rama non aveva portato a nessun accordo costruttivo. “Le Autorità di Tirana non consentiranno al Procuratore serbo per i crimini di guerra, Vladimir Vukcevic, di svolgere delle indagini sull'esistenza in territorio albanese, di laboratori e sale operatorie presso il villaggio di Gur, vicino Matia, dove i membri dell'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) avrebbero deportato i Serbi del Kosovo che erano stati rapiti, per poi rimuovere i loro organi vitali”, scrive Associated Press. La Procura Albanese sembra che abbia messo a disposizione dello staff di Vukcevic il rapporto negativo realizzato da un gruppo di investigatori di Jaga, in collaborazione della Procura di Mati nel 2005, certificando la totale assenza di prove sulle gravi accuse. La stessa Ina Rama dichiara di aver assistito, in prima persona, all'inchiesta condotta nella zona di Burrel (nella foto) da parte degli Osservatori dell'Aja pochi mesi fa. Gli osservatori, secondo Rama, non hanno trovato prove a conferma dell’esistenza di laboratori domestici in cui sono state operate e uccise delle persone, né nei pressi del confine con il Kosovo né in altre zone. La smentita del raggiungimento di un accordo tra Serbia ed Albania provoca in poco tempo confusione e disinformazione, in un continuo barcamenarsi delle agenzie nel tentativo di capire la dinamica della controversia.

Tuttavia, ben presto giunge anche la conferma del Ministro serbo Malovic, secondo il quale la procura albanese ha rifiutato la collaborazione dietro "forti pressioni politiche". Vekaric rinegozia anch’egli la sua versione, e afferma il procuratore albanese "non ha avuto neanche il tempo di esaminare tutta la documentazione presentata", prima di decidere per un secco rifiuto. La Serbia decide così di chiudere ogni tentativo di conciliazione con la parte albanese, e annuncia che farà appello alle organizzazioni internazionali che si sono interessate al caso, e prima tra tutte al Consiglio d’Europa. D’altronde Belgrado non può accettare che delle accuse tanto gravi siano state diffuse e sostenute proprio da Carla del Ponte, la quale non ha mai favorito la Serbia presso il Tribunale dell’Aja. L’Albania, dal suo canto, non sembra essere ben disposta ad aprire un’indagine trasparente e sulla base di una cooperazione regionale su uno dei retroscena più oscuri e macabri della pulizia etnica del Kosovo.

Il Governo e la Procura albanese sanno bene che la propaganda alimentata dal libro "La Caccia" è solo un tentativo per sdoganare la figura appassita ed ormai isolata di Carla del Ponte, in quanto le probabilità che da delle zone isolate e ostili della campagna albanese, confinante con il Kosovo, possa partire un traffico di organi senza che siano testimonianze o prove è alquanto impossibile. Tuttavia, non intende portare alla luce la verità sui gravi crimini dell’UCK nei confronti dei "dissidenti" kosovari, tra cui vi erano non solo serbi, ma anche albanesi che si ribellavano alle bande armate di liberazione del Kosovo. Tra questi vi erano infatti gli uomini della Fark, la Forza di Polizia kosovara, che furono decimati sotto gli occhi delle missioni e degli osservatori internazionali. Vi sono dunque, realmente, delle forti pressioni politiche che non vogliono portare alla luce la verità, in quanto significherebbe mettere in discussione strutture e organizzazioni create sulla bugia e sui crimini. Fin quando, però, si continuerà a creare tensioni, propaganda ed inutili speculazioni, non si arriverà mai ad una verità comune che renda giustizia alla Serbia, all’Albania e al Kosovo.