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22 novembre 2006

Il sistema giudiziario che uccide le imprese


L'economia italiana è diventata ormai la patria del saccheggio delle multinazionali, le società vengono comprate per farle crescere a dismisura sui mercati valutari, per poi esplodere in una grande bolla. È la storia questa della Parmalat, della Cirio, della Telecom, è la realtà che stiamo vivendo perché i politici e le religioni ci hanno consegnati in mano ai boia, consentendo che prendessero la nostra economia e ne facessero carne da macello. I giudici non applicano più la costituzione, ma la prassi amministrativa e giuridica, i politici non emanano le leggi che rispecchiano le esigenze e i problemi esistenti, i servizi segreti si sono venduti. Si fanno grandi sfoggiando medaglie e pensioni d oro, alle cene con le aragoste, il vino buono e le mignotte, senza mai fermarsi a pensare cosa è costato quello che ora possiedono. Ogni giorno, in un'aula di tribunale o in Parlamento vengono violati i diritti sanciti dalla Costituzione in nome del bene del Paese o della prassi burocratica, in nome delle direttive scritte da persone che non abbiamo mai eletto, che non conosciamo e si nascondono dietro un dito o le sigle delle false istituzioni.
Abbiamo chiesto così all'Avv. Marco della Luna una sua consulenza su quello che è oggi il funzionamento del sistema giuridico e bancario che le imprese quotidianamente incontrano.

« Quelle tra giudici e banchieri sono senz'altro delle alleanza molto pericolose.
Nel sistema italiano di potere, osserviamo una marcata analogia tra la categoria dei banchieri e la categoria dei magistrati. Entrambi, banchieri e magistrati, eleggono l’organo di autogoverno di categoria e in esso hanno una partecipazione dominante: le banche, nominano il Governatore della Banca d’Italia e la Banca Centrale Europea e partecipano la seconda attraverso la prima; i magistrati, nominano tra i propri iscritti 20 dei 30 componenti del Consiglio Superiore della Magistratura.
Entrambe le categorie (alcuni le chiamano “corporazioni”), giudiziaria e bancaria, nominano e controllano così i propri controllori, si fanno regolamenti interni, giudicano i propri iscritti secondo logiche interne, si impermeabilizzano a controlli esterni (ossia degli organi di elezione popolari, volgarmente detti ‘democratici’), così che si possono imporre come interlocutori forti (perchè autonomi) agli organi costituzionali.
La categoria dei banchieri è però molto più forte di quella dei magistrati, e ciò dovrebbe esser tenuto presente dai magistrati stessi, nel loro proprio interesse, perché le alleanze fatte con chi è molto più potente sono alleanze, alla fine, perdenti.
Facciamo qualche semplice considerazione…
In Italia è invalso, in favore delle banche, un sistema fatto di norme codicistiche e non codicistiche, nonché di prassi giudiziaria, che funziona come segue:
I tribunali, quando le banche dichiarano di avere un credito verso i loro clienti, concedono alle banche, a vista, decreti ingiuntivi contro i clienti medesimi, sulla base di documenti di formazione bancaria, anche in assenza di una vera prova del preteso credito.
Non solo concedono questi decreti ingiuntivi, ma li dichiarano immediatamente esecutivi, ingiungendo ai malcapitati clienti delle banche, senza prima aver sentito le loro ragioni, di pagare subito, pena il pignoramento. E’ vero che l’art. 642 del Codice di Procedura Civile permette di dichiarare un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e di qualsiasi prova dei presupposti dell’art. 642 cpc per la concessione dell’immediata esecuzione, come in questo caso. Ma è anche vero che l’art. 642 richiede la prova di un pericolo nel ritardo, che giustifichi l’urgenza. Orbene, questo pericolo viene identificato dalla banca, e purtroppo anche dai giudici, col semplice ritardo di pagamento affermato unilateralmente dalla banca stessa.
La banca immediatamente, in forza di tale decreto e prima di notificarlo al proprio cliente, iscrive un’ipoteca giudiziale sulla totalità dei beni immobili del cliente.
Ciò anche quando i beni immobili hanno un valore multiplo del preteso credito. Per un vantato credito di 100.000 Euro, supponiamo, la banca iscrive ipoteca per beni di 1.000.000 di Euro.
Al contempo, la banca segnala alla Centrale Rischi Interbancaria della Banca d’Italia la supposta insolvenza del cliente, senza, perlopiù, curarsi di accertare se il cliente sia insolvente e anche quando, il cliente non è affatto insolvente, ma molteplicemente capiente.
A questo punto, grazie al pretesto così creato della segnalazione CRI, il sistema bancario, che è un cartello privato, comprendente i privati proprietari della Banca d’Italia (tali contro l’art. 3 dello Statuto della medesima) che questa stessa dovrebbe disciplinare, tira la rete, ossia blocca completamente, l’operatività finanziaria del cliente, causandogli danni potenzialmente letali, mettendolo in ginocchio, e sovente costringendolo a cedere alle pretese della sua consociata se non vuole soccombere.
L’alternativa, per il cittadino cliente, è sperare in un congruo risarcimento al termine di una lunga causa, ossia al passaggio in giudicato della sentenza – dopo anni e anni in cui non potrà operare – risarcimento che non potrà essere congruo, perché non è possibile provare congruamente il lucro cessante.
Questo è un sistema molto efficiente per i banchieri. Dà loro un potere non solo giuridico, ma anche economico e politico sulla società. Forse i giudici che si occupano dei suddetti decreti ingiuntivi dovrebbero riflettere sulla portata di ciò, sulla trasformazione degli assetti di potere che ciò apporta nella costituzione materiale, sull’opportunità di usare diversamente i propri decisivi poteri. Perché, in una prospettiva di medio termine, non conviene ad alcuno, se non ai banchieri, vivere in una società regolata interamente dal sistema bancario privato, dove già ora, giorno dopo giorno di più, i cittadini si ritrovano a dipendere da esso e dal suo credito per sempre più numerose necessità della vita, grazie a governi che sempre sono, essi stessi, dipendenti dal sistema bancario.»

Questo fa senz'altro capire che non esiste più lo Stato né come Istituzione, né come diritto e neanche come società, perché oggi un imprenditore o la sua azienda può morire nel silenzio dei media e dei tribunali. Oggi 100 aziende possono morire nel giro di un'ora solo battendo su una tastiera, seguendo le istruzioni di un software, usurando sul tempo e sulle parole.
Hanno squadre di avvocati, consulenti e una macchina burocratica verso i quali le imprese si sentono inermi, disarmati perché sanno di lottare ad armi impari. Noi non lasceremo certo che le imprese muoiano, noi combatteremo stando uniti, con l'intelligenza e i giusti strumenti, non con le spade o nei forum, perché queste sono guerre già perse.

Il Comitato di Liberazione Monetaria si sta muovendo in tal senso, e ha ottenuto un importante incontro nella mattinata di oggi, alle 11.00 di giovedì 23 settembre, con le Istituzioni. il Presidente del Comitato di Liberazione Monetaria, ing. Argo Fedrigo, accompagnato dal Responsabile nazionale per i rapporti istituzionali il Sen. Valentino Perin, incontrerà il Presidente del Senato Franco Marini. Un incontro questo sicuramente storico che darà sicuramente voce a coloro che intendono impegnarsi attivamente per dare un sostegno alla nostra economia.
Ringraziamo a nome di tutta la nostra Tela il C.L.M. per il grande impegno profuso nella realizzazione di un progetto comune a tutti. A loro va tutta la nostra stima e il nostro appoggio in questo tentativo di dare oggi alle imprese delle risposte concrete, delle armi per riuscire ad affrontare il futuro.