Divisi tra Oriente ed Occidente, i Balcani si confermano una terra di conquista per piccoli e grandi affaristi che intravedono in questi Paesi il loro piccolo "regno" da governare. Ciascuno di essi trova infatti terreno fertile per affondare le radici del proprio dominio economico, oppure per ricrearsi una vita. Da una parte, dunque, vi sono i grandi gruppi di investimento che giungono scortati da uno stormo di consulenti finanziari e di comunicazione che andranno ad occupare anche importanti cariche per "consulenza esterna", e dall’altra imprese di medie dimensioni che arrivano a bordo di macchine lussuose e contante alla mano, promettendo agli "indigeni" grandi opportunità di sviluppo. Nella maggior parte dei casi, questi "grandi imprenditori" che millantano business milionari, sono divorziati o vedovi, oppure scappano da fantasmi del passato, nell’illusione che lo squarcio dei nuovi mercati possa aprire loro un futuro diverso. Quelli che hanno sogni nel cassetto mai realizzati ritrovano il loro habitat naturale per farsi notare, nel bene e nel male, venendosi a creare una difficile convivenza.
L’apparenza sfarzosa e di tendenza spesso tradisce, in quanto dietro le promesse di guadagni facili e di grandi investimenti si cela una realtà ben diversa, che la gente dei Balcani percepisce subito, e sa bene fino a che punto può spingersi per "spennare l’ultimo pollo arrivato". Belgrado, Zagabria, Tirana, Skopje, sono tra di loro simili per certi versi, la storia si ripete sempre e puntualmente allo stesso modo, da oltre 15 anni. Molti di questi fenomeni di avventura, si sono trasformati in realtà di cooperazione e collaborazione virtuosa, dando vita a piccoli distretti industriali manifatturieri che sfruttano i vantaggi delle cosiddette "zone franche" direttamente collegate ai mercati europei orientali e a quello russo. La Vojvodina, il distretto di Brcko, la stessa Republika Srpska, nonché ampie zone della Serbia e dell’Albania, sono fiorenti mercati per un’economia sostenibile di piccole e medie dimensioni, che rispetta la popolazione e le sue risorse. L’altra faccia della medaglia sono i patetici tentativi di millantatori che giungono in queste terre nella convinzione di "donare" sapere e ricchezza, di trovare dinanzi a loro degli indigeni con l’ "anello al naso", mentre nella maggior parte dei casi è la gente del popolo che insegna loro come vivere, come fare della propria umiltà una fonte di ricchezza.
Ciò che accade nei mercati di micro-dimensione, si ripete quasi identicamente ai massimi livelli dirigenziali, ovviamente con più spettacolo e gesti eclatanti, avendo attorno a sé uno stuolo di Organizzazioni non Governative e di media prestigiosi pronti a gridare contro la corruzione e dei Governi locali. Associazioni come Transparency International sono state appositamente create per far sì che ogni appalto di vendita e di privatizzazione andasse in porto nel modo prestabilito, facendosi scudo dei rapporti redatti dalla Banca Mondiale, dalla BEI o dal Fondo Monetario Internazionale che individuano nello scorporo ai privati del patrimonio nazionale una soluzione al cancro del sistema corrotto. Ogni evento diventa un’ottima occasione per fare propaganda, per diffondere il credo delle grandi agenzie di consulenza occidentale e "fare il bene del Paese". Il fatto strano è che gli stessi consulenti delle banche fallite e nazionalizzate per evitare il panico tra risparmiatori e debitori, sono quelli che oggi chiedono ai Governi dei Balcani di privatizzare, in nome delle direttive europee e della volontà delle Istituzioni sovranazionali. È ovvio che anche per loro, i Balcani costituiscono una piccola terra di "riconquista" della credibilità persa in Occidente.
Un po’ come Richard Holbrooke che, dopo la magra figura per l’affare Karadzic e il sospetto di aver violato il patto segreto per la pace in Bosnia, si presenta in Kosovo come ambasciatore di "garanzie" per il riconoscimento dell’indipendenza, nella speranza che questo traguardo possa restituirgli la dignità persa. Lo stesso George Soros si è esibito ieri al Summit UE in un patetico gesto di "umanità" sposando la causa Rom e accogliendo gli applausi dei convenuti, proprio lui che con la sua Human Rights Watch ha provocato guerre e rivolte senza senso in ogni luogo in cui è sbarcata. Le speculazioni sui problemi e i crimini contro le etnie dovrebbero servire ad altri scopi, e non a lucidare il sorriso di un ricco finanziere che proprio in queste terre ha fatto carne da macello.
Le campagne diffamatorie e la cosiddetta propaganda dell’ultranazionalismo sono le armi preferite da scagliare contro i Governi reticenti che non vogliono concedere troppo ai gruppi esteri. Contro la Republika Srpska si scaglia la tragedia di Srebrenica, contro l’Albania i traffici di armi e di droga, per la Serbia ogni cosa che possa ostacolare il suo progresso. I serbi sono "macellai", i bosniaci sono "musulmani" o "multietnici" a seconda della convenienza di turno, i montenegrini sono un’etnia a parte ma soprattutto "non sono serbi", i macedoni sono gli unici che sono rimasti all'epoca del socialismo, mentre gli albanesi sono vittime o carnefici a seconda del punto di vista. I problemi sociali auto-indotti dall’eccessivo sfruttamento e dalla cattiva amministrazione di governi un po’ troppo pilotati, diventano poi anche un alibi per il fallimento delle Branch e delle multinazionali, che chiudono le serrande e scappano con il bottino. D’altronde è sempre colpa dei Balcani, a tutti sta bene così e a tutti fa comodo, tanto nessuno sentirà le loro urla. Nella sua complessità, sono davvero una vera terra di conquista per ogni strato sociale, perchè qui in questi Paesi - un po' vivaci - non ci si può annoiare, si contano miliardi solo con le parole, nei lussuosi ristoranti per poi scappare prima che arrivi il conto. Di consulenti internazionali e di "Presidenti" di società create a Londra con 50£ e una segreteria telefonica automatica ne sono venuti fin troppi, e tutti puntualmente sono spariti con il bottino. "Affari business" sono le parole d'ordine di questi mercenari che si aggirano nelle strade con occhi ben vigili e sguardi da lupo, affamati per la loro preda, mentre tutti sono distratti dallo spettacolo mediatico dei processi di democratizzazione fatti a suon di "gay pride". Però, la cosa bella di questi luoghi, è che non si sa mai chi vincerà, se la preda o il famelico cacciatore.