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12 settembre 2008

Nel bel mezzo della recessione...


La forte speculazione sui prezzi delle materie energetiche, spinta dalla crisi sui mercati finanziari, ha gettato l’economia dei Paesi in una fase di stagnazione economica molto pericolosa in quanto rappresenta una fase temporanea e immediatamente precedente rispetto all’ulteriore deterioramento delle condizioni che portano alla vera recessione. In altre parole, ciò che abbiamo visto sino ad oggi è stato solo l’inizio del declino dell’economia dei Paesi europei e degli Stati Uniti, creando una situazione ideale per parassiti e allibratori.

Se qualcuno aveva ancora dei dubbi che i Paesi occidentali erano entrati in recessione, i recenti dati aggregati sull’andamento dei consumi, della produzione industriale e dei prezzi fanno maggiore chiarezza. La forte speculazione sui prezzi delle materie energetiche, spinta dalla crisi sui mercati finanziari, ha gettato l’economia dei Paesi in una fase di stagnazione economica molto pericolosa in quanto rappresenta una fase temporanea e immediatamente precedente rispetto all’ulteriore deterioramento delle condizioni che portano alla vera recessione. In altre parole, ciò che abbiamo visto sino ad oggi è stato solo l’inizio del declino dell’economia dei Paesi europei e degli Stati Uniti, creando una situazione ideale per parassiti e allibratori. Un primo dato allarmante giunge proprio dal mercato del petrolio dove un barile di Brent viene scambiato per 98 dollari, toccando il minimo da febbraio, mentre a New York il barile di greggio ha toccato i 102,58 dollari. Quotazioni senz’altro elevate, ma decisamente inferiori alle previsioni che stimavano rincari sino ai 200$, e una produttività a pieno regime. Una tale contrazione viene imputata dai bollettini finanziari all’apprezzamento del dollaro, ma lanciare tali analisi approssimative è davvero ridicolo, considerando che si è avuta una certa ripresa della moneta statunitense, ma non così decisiva.

Dopo aver sfiorato un controvalore con l’euro di 1,50, si attesta questa mattina a 1,41 lasciando fondamentalmente invariata la situazione sul mercato valutario, senza gravi ripercussioni sul movimento di capitali. Anche perché, parlandoci chiaro, la situazione sul mercato finanziario statunitense è davvero grave e preoccupante, essendo in piena recessione economica e industriale. Il salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac ha dato una boccata di ossigeno che è durata a malapena due giorni, prima di cadere nell’incubo del fallimento con il tracollo della Lehman Brothers, colpita gravemente dalla crisi dei mutui subprime e sprofondata in borsa e ormai vale solo 2,7 miliardi di dollari, contro i 40 miliardi di un anno e mezzo fa. Il Tesoro Usa è dovuto di nuovo intervenire per mediare tra un gruppo di possibili acquirenti, ripetendosi così quanto accaduto con il gigante Bear Stearns: la Fed allora promise 30 miliardi di dollari a JP Morgan per salvare la banca. Questo dunque dimostra che il mercato finanziario è ancora in crisi, le speculazioni finanziarie continuano e le banche falliscono, mentre la produzione industriale si ferma, e lo spettro della disoccupazione avanza persino nelle metropoli più ricche e avanzate. Allora, escludendo l’apprezzamento del dollaro e la ripresa del mercato finanziario, perché il prezzo delle risorse energetiche diminuisce nonostante l’intervento dell’OPEC? Ma soprattutto, perché le tariffe di luce e gas, nonché i prezzi e l’inflazione aumentano?

È chiaro che le forze che premono sul prezzo del petrolio non sono di natura valutaria o finanziaria, ma derivano dall’economia reale che pian piano, anche in maniera impercettibile, si ferma. E non parliamo solo degli Stati Uniti, ma anche dell’Unione Europea che nel mese di luglio ha registrato una riduzione dello 0,3% su base mensile, e su base annua un decremento dell'1,7%. La contrazione resa nota dall'Istituto di Statistica dell'Unione Europea (Eurostat), seppure prevista dagli analisti si è rivelata ben peggiore delle attese, in quanto è stata la più forte caduta congiunturale. Dei dati che spiegherebbero anche perché il tasso di cambio euro/dollaro ha forzato un nuovo livello al ribasso, scendendo sotto quota 1,40 e tornando ai livelli dello scorso anno pari a 1,39. Spicca inoltre la forte caduta sulla produzione di beni di consumo, sia di quelli non durevoli, ossia quelli della vita quotidiana, che di beni intermedi e beni strumentali. Dunque la produzione industriale sta diminuendo sempre più, in relazione alle forze economiche che avevano gettato l’economia in una fase di stagflazione ( si veda Inflazione e recessione: le Banche hanno già una soluzione ). L'aumento dei prezzi dovuto ad uno shock esogeno ( aumento del petrolio, crisi finanziaria, speculazioni) ha portato ad un iniziale aumento della produzione e dell’offerta di beni, che tuttavia non è stata recuperata dalla relativa domanda in quanto i salari hanno subito una continua erosione a causa dell’inflazione. La riduzione dei consumi sta così decretando il rallentamento della produzione industriale: le industrie chiudono rami di produzione, falliscono o delocalizzano.

In generale, la domanda di energia da parte dei grandi colossi industriali si sposta dai Paesi Occidentali, a quelli Orientali, i quali tuttavia non hanno ancora il potere "geopolitico" per influire sulle quotazioni borsistiche, tale che il prezzo del petrolio comincia la sua lunga discesa. È importante a questo punto ricordare che il rapporto Global Risks 2008, redatto dal World Economic Forum (WEF) discusso in occasione della conferenza annuale di Davos a fine gennaio, aveva avvertito sul rischio di recessione derivante da una caduta libera in seguito al raggiungimento del picco di inflazione( si veda Il WEF avverte sul possibile crollo dei prezzi ) . Siamo in realtà molto vicini al cuore della crisi finanziaria globale di questa "stagione 2008" che è iniziata con i record estremi del prezzo del petrolio, e sta finendo con il declino della produzione, per entrare in una piena fase di recessione.
L’impotenza dei Governi è evidente, visto che le tariffe per servizi, utenze ed energia, non accennano a dimuire, per non parlare poi dei tassi di interesse. La Banca Centrale Europea ha infatti deciso di mantenere invariati i tassi di interesse applicato alle operazioni di rifinanziamento principali e i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale, si legge in una nota, rimarranno invariati rispettivamente al 4,25%, al 5,25% e al 3,25%. È necessario in realtà, proprio adesso, una risposta delle autorità nei confronti dell’economia reale, che dia respiro alle imprese, che impedisca ulteriori fallimenti, l’erosione monetaria dei salari e guidi verso un’ottimizzazione degli sprechi e delle risorse "intelligente". Uno scenario che non sarebbe apocalittico se non vi fossero grandi gruppi societari che riescono a controllare il mercato generale del consumo, e quello industriale. Decidono selvagge colonizzazioni di ogni mercato con prospettive più favorevoli, ignorando le esigenze dell’economia sostenibile. Dinanzi a tali colossi, non basteranno i decreti "dei 100 giorni" che strappano piccole concessioni sulle dilazioni dei mutui o il blocco degli interessi, perché con la recessione non si scherza.