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04 settembre 2008

Semi sterili in Albania: “Limagrain ha venduto semi certificati UE”


Dopo lo scandalo delle pannocchie di mais prive di chicchi, in Albania ci si interroga sulle cause nonchè sulle responsabilità dell'accaduto. Cadono le colpe ricadute sulle imprese serbe, mentre restano i dubbi sulla società francese esportatrice, la grande multinazionale Limagrain. Rinascita Balcanica ha interrogato la Limagrain su quanto sta accadendo in Albania e sulla posizione che intendono assumere in questo momento. "Non sappiamo al momento quale sia la causa precisa - dichiara un rappresentante della società - abbiamo inviato per questo dei nostri tecnici per esaminare le condizioni di coltivazione e i risultati del raccolto .

Il mancato raccolto per gli agricoltori albanesi e il sospetto dell’esistenza di una qualche complicazione legata ai semi, ha spiazzato l’intera opinione pubblica e le stesse Istituzioni dell’Albania. Vi sono ancora delle indagini in corso e non si è riusciti ancora ad identificare ciò che ha reso le pannocchie di mais completamente vuote, nonostante le piante apparivano sane. I media albanesi hanno cercato la probabile causa nelle società serbe che hanno grandi quote nel mercato dell’esportazione del grano, spingendosi persino ad ipotizzare che si era di fronte ad una sorta di sabotaggio da parte della Serbia. Un’ipotesi del tutto scartata, considerando che il mercato di forniture delle sementi, a livello mondiale, appartiene ad una ristretta cerchia di multinazionali che, nella maggior parte dei casi, tratta semi di natura transgenica.

Sotto stretta osservazione vi è infatti la società francese esportatrice delle sementi, la Limagrain, che ha inviato una squadra di esperti per studiare l’anomalia ed individuare il motivo per cui delle piante di mais sane hanno prodotto pannocchie prive di chicchi. "Non vi è alcun sabotaggio da parte della Serbia. In realtà vi è stato un problema tecnico agrario nella fecondazione dei semi forniti all’Agro-blend albanese, in una quantità pari a 900 sacchi di 15 chili ciascuno", risponde un rappresentante della Limagrain alle domande di Rinascita Balcanica. "Non sappiamo al momento quale sia la causa precisa - aggiunge - abbiamo inviato per questo dei nostri tecnici per esaminare le condizioni di coltivazione e i risultati del raccolto . Il prodotto che abbiamo venduto all’Albania è lo stesso commercializzato in tutto il mondo, mentre possono essere cambiate le tecniche di coltivazione. Per tale motivo si suppone che il problema riguardi le modalità di cultura, che hanno interferito nei processi di impollinazione, considerando che si tratta di semi che hanno bisogno di cure e metodologie specifiche".
Specifica inoltre la Limagrain che, essendo una società che opera in tutto il mondo, "il caso albanese sembra essere un caso particolare, visto che negli anni scorsi non è stato riscontrato mai questo tipo di problemi in relazioni ad altre coltivazioni." Alla richiesta se il Governo albanese abbia fatto delle verifiche e delle analisi prima della commercializzazione dei semi, lo stesso rappresentante non sa rispondere con sicurezza e afferma che "la vendita dei semi è stato un contratto privato tra una delle branch addette alla commercializzazione della Limagrain e la società di distruzione albanese Agro-blend". Ad ogni modo, prima della segnalazione della controparte albanese, avvenuta secondo quanto dichiarato dalla Limagrain intorno al 26 agosto, non è stata individuata alcuna anomalia nel raccolto.

Eppure, già a partire dal 10 agosto erano stati costatati i primi problemi sul raccolto dei cosiddetti semi sterili, ma il Ministero dell'Agricoltura ha preferito tenere nascosto il problema. Infatti la Direzione Regionale dell'Agricoltura, dell'Alimentazione e della Difesa dei Consumatori del Comune di Diber, aveva informato, attraverso un fax, il Ministero che "l`Ente Statale dei Semi non aveva incluso nella lista dei semi registrati per essere commercializzati, la varietà di mais “Aliseo”, usato da vari agricoltori albanesi". "Dalle nostre verifiche, sulla base del Bolletino EFSH 2008, è stato evidenziato che il seme non è stato registrato per essere commercializzato", afferma il titolare della Direzione, Maksim Hajrullaj. Successivamente, il 22 agosto, la Direzione Regionale di Elbasan aveva informato il Ministero che "dopo il 10 agosto, e precisamente nel periodo in cui le piante si sviluppano, è stato costatato dagli agricoltori che le spighe erano vuote, sebbene in apparenza sembravano normali". Nonostante il Ministero fosse a conoscenza di quanto stava accadendo nei campi albanesi, le autorità hanno preferito aspettare, fino a quando il caso era diventato troppo grave e troppo grande per essere nascosto.
Il coinvolgimento del Gruppo Limagrain è stato così inevitabile, perché i contadini non avevano mai visto delle piante di mais dare delle pannocchie senza granelli: lo stupore è stato sopraffatto dalla paura, dinanzi ad un episodio così innaturale. Sebbene i primi sospetti siano caduti sulle condizioni climatiche e ambientali, dai successivi controlli degli esperti agronomi è stato costatato che "la mancata riuscita della fase di impollinazione è legata a problemi genetici", e non climatici o ambientali, lasciando sospettare che si tratti proprio di semi geneticamente modificati. Sospetti che tuttavia sono comprovati da dati effettivi, che dimostrano come il mercato delle sementi sia innanzitutto controllato da grandi multinazionali, e che queste facciano largo uso di tecniche di manipolazione genetica.

Secondo quanto riportato dal rapporto Concentrazione dell'industria globale delle sementi (Gruppo ETC), a partire dal 2005, infatti, circa dieci imprese controllano metà del mercato mondiale delle sementi, dopo che abbiamo assistito in questi ultimi trent’anni ad una progressiva e lenta concentrazione della commercializzazione delle risorse alimentari: se prima esistevano più di 7000 imprese che possedevano non oltre lo 0,5% dell'intero mercato mondiale, nel 2003 dieci società sono arrivate a possedere il 49% . Dupont/Pioneer, Syngenta, Groupe Limagrain, KWS AG, Land O' Lakes, Sakata, Bayer Crop, Science, Taikii, DLF Trifolium, Delta & Pine Land, ma tra tutte vi è ovviamente la Monsanto. Oltre ad essere un leader nelle sementi transgeniche con la detenzione dell’88% delle quote, la Monsanto è la più grande impresa nel settore della vendita di sementi commerciali, assorbendo anno dopo anno le altre concorrenti come Advanta Canola Seeds, Calgene, Agracetus, Holden, Monsoy, Agroceres, Asgrow, Dekalb Genetics, e la divisione della Cargill. Dopo le scalate e le manovre finanziarie, che hanno contribuito alla concentrazione del mercato, si è assistito alla progressiva legalizzazione dei brevetti ed alla privatizzazione delle sementi, prima rigorosamente controllate dal settore pubblico sia nelle fasi di produzione che di distribuzione, fino alla privatizzazione della "certificazione" che decidono che tipo di sementi dovranno essere presenti sul mercato.
Le grandi multinazionali sono così giunte ad impossessarsi del potere di certificazione nonché di brevetto sulle specie vegetali, che pian piano sono state soggette ad una bio-selezione artificiale nonché ad una riprogettazione genetica. Oggi si parla infatti di bio-contaminazione delle sementi con specie geneticamente modificate, che hanno ormai preso di fatti il sopravvento al punto che diventa ormai impossibile ottenere delle coltivazioni da semi dalla genetica intatta. Molti sono stati i casi in cui le sementi contadine, nelle mani delle comunità rurali, sono state distrutte o decimate da virus "intelligenti", oppure da cause legali che per "utilizzo indebito del brevetto", immettendo invece sul mercato semi protetti da marchi e diritti di proprietà.

Occorre a questo punto osservare che, sebbene il mercato delle sementi sia controllato da multinazionali, le Istituzioni e i Governi restano ferme ed impotenti dinanzi alla distruzione della biodiversità e delle economie rurali caratteristiche di ogni parte della Terra. Al momento, infatti, la commercializzazione e la produzione di semi avviene nella piena legalità delle direttive comunitarie e degli standard decisi dal Wto, autorizzando l’entrata sul mercato delle specie geneticamente modificate e proteggendo i diritti di proprietà intellettuale. Il sistema agro-alimentare resta così incatenato ad enormi strutture economiche, burocratiche e legislative forti ed inattaccabili, che nel tempo sono riuscite a mimetizzarsi sempre di più. Per anni abbiamo lottato, e lottiamo tutt’oggi, contro gli OGM e la manipolazione della biodiversità, ma spesso ogni battaglia viene sistematicamente anticipata da una nuova direttiva o una diversa certificazione, che si è ridotta ormai alla "informazione trasparente per il consumatore". Al contrario non vi è alcun diritto per i contadini, per le imprese e la stessa popolazione, che subisce danni incalcolabili. Nel caso particolare dell’Albania, qualora si dimostri che il raccolto "sterile" è dovuto ai semi, la Limagrain riuscirà senz’altro a dimostrare che non sono state attuate delle tecniche adeguate e richieste da quel particolare tipo di sementa, e comunque che la produzione e la vendita di quel tipo di semi è avvenuto nel pieno rispetto delle norme e delle direttive dell’Unione Europea.