Motore di ricerca

17 ottobre 2006

La censura alla libertà di espressione ferma i negoziato della Turchia per entrare in UE



Il Parlamento Francese, spinto dalla proposta di legge del partito socialista, approva la legge che vieta, in maniera assoluta, la negazione del genocidio armeno da parte dei Turchi. Il genocidio Armeno da tempo è stato riconosciuto ma molte istituzioni internazionali, ma all'interno della Turchia parte delle forze politiche, quali il partito comunista, socialista e nazionalista, continua ad opporsi fermamente al suo riconoscimento, essendo stato per molti anni una condizione necessaria, imposta dalla Unione Europea, per entrare a tutti gli effetti nel mercato unico. Al suo interno continuano a scontrarsi i partiti pro e contro l'adesione all'Unione Europea, e probabilmente far leva su una questione tanto delicata come il genocidio armeno significa anche utilizzare una clausola di riserva per mantenere una certa indipendenza dall'Unione Europa e rimanere agganciati invece alla lobby filorussa. La legge francese ha alzato un gran polverone, provocando una crisi dall'impatto internazionale con il boicottaggio dei prodotti francesi, un boicottaggio che suona molto come una specie di embargo volto a creare una spaccatura diplomatica anche con la stessa Unione Europa, che si sentiva ormai vicina all'inclusione della Turchia nel mercato Unico.
La cosa strana da sottolineare, tuttavia, è che per molto tempo il Genocidio Armeno è stata un tasto molto dolente per l'ingresso nell'Ue, tanto che la Commissione aveva chiesto di emendare l'articolo che limitava severamente la libertà di stampa sulla questione armena. Adesso, dopo la legge francese e la dura risposta di Ankara, l'Unione si pone in maniera molto più conciliante, e si schiera contro la Francia che più volte era stata esortata a non approvare quella legge perché avrebbe incrinato le contrattazioni con la Turchia. In realtà, la delicatezza dei negoziati di adesione si snodano tutti circa l'apertura dei suoi porti e degli aeroporti alle barche ed agli aerei di Cipro. Per l'UE, aprire gli sbocchi a Cipro si tratta di un obbligo iscritto nel "protocollo di Ankara", perché allora la Turchia ha, nel 2004, accettato di estendere a Cipro il beneficio dell'unione doganale. La Turchia, afferma, rifiuterà di accettare fin quando le autorità cipriane continueranno a bloccare gli aiuti europei alla parte turca dell'isola. Il collegamento di Cipro alla Turchia e poi all'interno dell'unione doganale e commerciale, rientra nel macroprogetto delle lobbies bancarie di controllare gli scambi di merci ed energia all'interno del Mediterraneo, e in questo contesto Cipro è importante quanto Malta, quanto l'Albania e la Sicilia, che fanno da portali per le merci e da sbocchi della ragnatela dei gasdotti fino al mercato europeo.
Allo stato attuale, è sicuramente saltato il piano dell'8 novembre per consegnare il piano di valutazione dello stato dei negoziati: l'intera operazione è riuscita, sicuramente a vantaggio della Turchia e del partito filo-russo, grazie ad una strana collaborazione della Francia.
La Turchia rappresenta oggi l'interessante colonia di una nuova classe dirigente che vuole avere il controllo delle risorse idriche della Mesopotamia, e vuole sfruttare la sua posizione privilegiata per raggiungere l'Europa, il Medioriente e il Mediterraneo: è dunque un importante centro logistico.


La Russia ne rappresenta l'attento controllore in quanto i gasdotti turchi porteranno il Gas di Gazprom in Europa e in Italia: Gazprom dunque controlla da una parte la rete e dall'altra la fonte, e ogni collaborazione che stringe è studiata nei minimi dettagli.
Gestisce la politica di sfruttamento delle risorse petrolifere allo stesso modo di una strategia di diplomazia internazionale, ossia intavola trattative ma firma contratti che non permettono ai suoi collaboratori di gestire il rapporto mentre consentono a Gazprom di entrare nel mercato estero.
Ha così deciso di respingere le concessioni estere per lo sfruttamento dello giacimento del Chtokman, nel mare del Barents, chiudendo le trattative con Total, che, due giorni fa ha visto respingere dalla Corte di Giustizia di Bruxelles la sua richiesta di avere il riconoscimento dei suoi diritti su una parte del giacimento di Vankor in Siberia. La Corte dei conti Russa è andata a verificare l'accordo di previsione di produzione del giacimento di Khariaga da parte di Total, del gruppo russo-britannico TNK-BP e degli anglo-olandesi Shell.
Accanto a questo la Russia sta ora controllando la rete, convincendo un gran numero di stati europei a creare delle partnership energetiche con Gazprom. Per contrastare lei, ci sono forze che premono per la privatizzazione di GDF, che servirà non solo a realizzare la fusione con Suez, ma anche a creare una partnership privata di perfetta reciprocità con Gazprom, ossia una collaborazione ad armi pari.
Questo per prevenire ciò che invece è accaduto ad ENI nello Sakhaline o il gruppo petrolifero ispano-argentino Repsol YPF, che ha stretto accordo di cooperazione e di alleanza commerciale col gigante russo per studiare lo sviluppo dei mercati del gas, del petrolio e del gas naturale liquefatto (GNL), in Europa, in America Latine ed in Africa.

Nel caso dell'Italia, l'accordo prevedeva l'assunzione di Gazprom della produzione alla commercializzazione di petrolio, di gas, di elettricità e di gas naturale liquefatta (GNL), vendendo sul mercato italiano senza intermediario, e concedendo in contropartita lo sfruttamento dello Sakhaline. Tuttavia i lavori sono fermi perché gli abitanti di questa regione hanno sporto querela e manifestato contro l'apertura dei cantieri dell'Eni. L'ecologia è diventata infatti un mezzo terroristico al servizio di Mosca per bloccare i diritti dei suoi partner: ovunque ci siamo degli avversari di Gazprom, la Russia si pone in prima linea nella causa ecologica. Per cui l'Italia ha scelto la strada più semplice e immediata, al costo di un accordo che manca di reciprocità, ottenendo dipendenza energetica e perdite dell'investimento. Ciò che sta accadendo in Italia, accadrà presto in Francia.
Il romanzo di Suez-GDF non è ancora terminato, si aspetta il verdetto del governo e dell'Unione Europea, che acconsentirà alla stessa solo dopo la privatizzazione di GDF. Dal gioco è stata esclusa l'Enel che premeva per un'OPA ostile su Suez e sperava nella sua concessione, proprio in virtù del fatto che l'Italia stava cedendo Alitalia ad Air France. Ha gettato la spugna prima del previsto anche perché il Belgio ha dato un primo assenso alla realizzazione della fusione.

In un periodo così difficile dal punto di vista economico e geopolitico, mentre la Francia sta per perdere la compagnia di bandiera del gas e del settore aerospaziale, con l'insinuazione di Putin tra i probabili compratori di EADS, ad opera della Russia in entrambi i casi, emana una legge che fa saltare gli accordi di Unione Europea e Turchia. Quest'ultima invece cerca di non perdere la sua autonomia andando a confluire in un unico mercato europeo, e tenere rapporti più stretti con la Russia. Capire cosa abbia spinto quella legge è davvero difficile, mentre di immediata comprensione sembra l'egemonia della Russia e la sua insinuazione in molti settori: questo significa cha sta riscrivendo di nuovo la sua storia, e sta cercando di divenire il punto di riferimento per molti anni ancora per l'energia e l'aerospaziale.